Un po’ Giuda, un po’ Pilato… gaudenti smemorati del Venerdì Santo
“Passata la festa, gabbato lo santo”.
In molte occasioni mi è capitato di riscontrare la fondatezza di questo proverbio, che oggi – nel giorno commemorativo della passione e morte di Gesù – mi offre lo spunto per qualche riflessione, senza pretese.
Animati dalla certezza della redenzione e dalla fiducia nella promessa della vita eterna, spesso e volentieri ci si lascia cullare dalla loro valenza, reale, trascurando il rispetto delle norme vincolanti, correlate al piano di salvezza, laddove le circostanze avverse del vivere eccedano le possibilità di reggere un peso oltre il limite dell’ordinaria sopportazione.
Così come, proiettati verso la gioia imminente della Risurrezione, “verità culminante della nostra fede in Cristo” e “parte essenziale del mistero pasquale insieme con la croce” (CCC 638), può capitare che quest’ultima passi per scontata, nel sentire comune, forse per i più anche durante il triduo pasquale. E si tralasci l’opportuno approfondimento – per ordinare o riordinare condotte scorrette – delle responsabilità personali e del ruolo di due figure non secondarie nell’epilogo della vicenda terrena di Gesù: Giuda e Pilato, dei quali non è difficile riconoscere gli epigoni nella società di ogni tempo.
Fatto salvo, evidentemente, il velo di tristezza che cala su chi medita sui misteri celebrati con i riti liturgici previsti e su chi partecipa agli eventi rievocativi di queste ricorrenze, programmati in fedeltà a tradizioni secolari, come nei paesi della Costiera, a me vicina per provenienza.
Mi riferisco, nello specifico, alla processione del Cristo morto che si snoda per le vie di Amalfi, nella tarda serata del Venerdì Santo, cui non ho mai smesso di aderire in spirito, malgrado la lontananza, tanto è vivo e struggente il ricordo che mi accompagna e che mi favorisce i pensieri del momento presente.
Nel silenzio irreale di una cittadina, solitamente vivacizzata dall’affluenza consistente di visitatori e turisti che si uniscono agli abitanti del posto in questo periodo dell’anno che segna l’inizio di una nuova stagione turistica, risuona per bocca dei cantori soltanto l’ “amaro pianto della dolente Madre”, Che nel Suo abbraccia il dolore di tutti quei figli affidati alla Sua materna protezione nel mentre si realizzava con e sulla Croce la redenzione dal peccato di disobbedienza dei progenitori alla volontà di Dio. Senza che – nonostante il perdono invocato per gli esecutori dello scempio perpetrato con la condanna a morte dell’Innocente, sebbene riconosciuto senza colpe – quell’amore assoluto volga in via definitiva i cuori al riscatto dall’involuzione dell’io ipertrofico, che resta inchiodato alla mancanza di buona volontà nell’interiorizzazione della storia e della lezione della Croce.
Lezione riproposta nel giorno – oggi – in cui si fa memoria di quella che fu la più buia di ogni altra giornata soprattutto per la comunità dei credenti, che professano la loro fede nel Salvatore del mondo, morto – e risorto – portato in processione per le strade dei centri urbani dove permane questa tradizione secolare, al calar della notte, con il rimando all’ora in cui “si fece buio su tutta la terra”.
Oscurità che ad Amalfi (lo ricordo come se vi fossi immersa) è illuminata soltanto dalle fiaccole della lunga fila di “battenti” che accompagnano il simulacro di quel Corpo esanime, spoglio di tutto, così come lo avevano lasciato agonizzante i soldati che, dopo averlo crocifisso, si divisero fra loro le vesti, tirando a sorte sulla tunica tessuta per intero a simboleggiare l’unità.
La luce di quelle fiaccole, sottraendo alle tenebre la Sorgente della vera Luce, la Verità che squarciò il velo del Tempio, annullando la distanza fra Dio e l’uomo, rischiara la via del calvario di ciascuno di noi, nessuno escluso, su questa misera terra. Dove, se ne rammaricò Quasimodo, ognuno sta solo ed è subito sera.
Eppure: basterebbe trovare un cireneo, facendosi l’uno cireneo per l’altro, a far tirare almeno un respiro di sollievo dalle sofferenze inevitabili. Un respiro soltanto. Momentaneo, ma pur sempre meglio di niente.
Nel cappuccio degli sfilanti, con addosso camici bianchi stretti da corde che richiamano la flagellazione, mi piace scorgere un segnale – sia pure apparente – di un ravvedimento che rimane latente e non arriva a coinvolgere realisticamente la coscienza della moltitudine degli anonimi, rappresentati col volto nascosto per un senso di vergogna.
Nel loro silenzio leggo la difficoltà di ogni vivente nell’ammettere le proprie colpe e nel chiedere perdono, sull’esempio di uno dei due malfattori crocifissi insieme a Cristo, che gli assicurò il posto in paradiso per quello stesso giorno.
Perdono e garanzia concessi a lui, non all’altro che non arrivò a riconoscere umilmente la gravità delle sue malefatte.
Questa la conclusione che si evince dalle pagine dei Vangeli, cui resto ferma. E nutro non poche perplessità sul “diritto al perdono” per tutti, senza se e senza ma, riproposto insistentemente negli ultimi tempi, sorvolando sui “Novissimi”, e diventato quasi il passaporto universale per il Regno dei cieli.
Aspettando il giorno del Giudizio per tutti – a quel che mi risulta, non sono contemplati in vista di quest’appuntamento ineluttabile trattamenti di favore riservati a predestinati – non mi abbandono a fantasticherie sul che ne è stato (o ne sarà) di Giuda e di Pilato, che per me pari son.
L’uno schiacciato dal potere di attrazione del denaro, alla fine buttato via insieme al disprezzo del dono della vita, dopo aver tradito il Maestro che, fino all’ultimo, continuò a chiamarlo “amico”. Con l’appellativo dato a tutti, in quanto non “servi” ignari di ciò che fa il padrone. Lo aveva specificato in una precedente predicazione: «ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi», scelti e «costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda». (Gv 15,15; 15,16)
Quanti Giuda si son sempre aggirati e continuano ad aggirarsi per il mondo! Quanti inganni e tradimenti nei rapporti umani; deplorevoli! attuati per finalità fra le più disparate e in modalità falsità mascherata – incisivo l’emblema del “bacio” a Gesù del discepolo traditore – consumati in spregio a valori quali: amicizia, gratitudine, fiducia accordata… al dunque, persa e irrecuperabile, nella maggior parte se non nella totalità dei casi del genere.
Obiettivamente, pur se ammetterlo non attenua la sofferenza: meglio traditi che traditori. Anche se lo strappo lascia innegabilmente incredulità e rimpianti, il più delle volte nell’impossibilità di rimettere insieme i cocci di un’esistenza sfregiata. Mentre i Giuda in servizio permanente effettivo se la passano (o forse: semplicemente sembrano passarsela) nel migliore dei modi possibili e immaginabili, e spassarsela, suscitando persino invidia e l’ammirazione di spettatori inconsapevoli dei danni di cui si siano resi responsabili.
Vero è che il Nazareno era venuto al mondo per dare compimento al disegno di salvezza dell’umanità, che contemplava la Sua passione fino alla morte sul Golgota. Ma, in astratto: se il tradimento di Giuda non fosse stato sottoscritto da Pilato, pur non avendo trovato in Lui “colpa alcuna”, la Storia non avrebbe registrato la prima condanna alla pena capitale dell’Innocente per antonomasia.
E non staremmo a ricordare il governatore della Giudea, assurto agli onori della narrazione storica per la risolutezza nel lasciare immodificata l’iscrizione (poi affissa sul legno della croce) indicativa della presunta colpevolezza del Condannato sottoposto a processo – “Quod scripsi, scripsi” – e nel dichiararsi pubblicamente non responsabile del Suo sangue, nel mentre si lavava le mani davanti alla folla.
Gesto diventato emblematico del comportamento tipico dei “neutrali”, dei pavidi che, sul modello Ponzio Pilato, si sottraggono all’approfondimento e alla soluzione equa di questioni scivolose, galleggiando nella non conoscenza della verità nuda e pura, per proteggersi da rischi eventuali e celati da incognite, che potrebbero sconvolgere certezze maturate e posizioni sociali conquistate anche a prezzo di compromessi e di assoggettamento ai potenti di turno. E optano per la scelta più seducente: affrontare il cammino ad ostacoli del vivere quotidiano calzando le scarpe più comode che si trovano a disposizione, o offerte ed accettate nel tacito rapporto del “do ut des”, senza mai dare l’impressione di tramare nell’ombra.
«Che cos’è la verità?» (Gv 18,38)
È in assoluto l’interrogativo che l’uomo di ogni tempo si pone e sottopone all’attenzione dei simili pensanti, perché la verità resta l’oggetto del desiderio più ricercato da chi non ha paura di guardare in faccia la realtà e più respinto da chi la paventa per un’infinità di ragioni.
Lo chiese anche Pilato a Gesù, ma non perché interessato a conoscere la risposta sulla Regalità di Cristo. Tant’è che gli voltò subito le spalle ed uscì per interrogare il popolo su chi liberare fra Lui e Barabba, in occasione della Pasqua, secondo l’usanza in vigore.
Fu il suo «un modo astuto per eludere la questione posta dal Signore. Pilato – fa notare Benedetto XVI in “Gesù di Nazareth”, al Capitolo sul processo (pp. 213-219) – vuole fuggire dalla verità perché la teme. Il potere umano, difatti, teme fortemente il confronto con la verità perché la sua luce fa emergere le tenebre e i cancri del potere: corruzione, carrierismo, ingiustizie, sopraffazioni, ricatti, bramosia di denaro».
«Ma senza la verità – avverte il Papa teologo – l’uomo non coglie il senso della sua vita, lascia, in fin dei conti, il campo ai più forti. “Redenzione” nel senso pieno della parola può consistere solo nel fatto che la verità diventi riconoscibile. Ed essa diventa riconoscibile, se Dio diventa riconoscibile. Egli diventa riconoscibile in Gesù Cristo. In Lui Dio è entrato nel mondo, ed ha con ciò innalzato il criterio della verità in mezzo alla storia. La verità esternamente è impotente nel mondo».
L’addestramento per imparare e riuscire a far emergere la forza intrinseca della verità passa, secondo il mio modo di intendere, anche dal superamento dei comportamenti stile Giuda e Ponzio Pilato, che hanno fatto scuola.
Con i più fervidi auguri per la Santa Pasqua, nella gioia del Cristo Risorto, in particolare agli amici che soprattutto negli ultimi anni ci hanno dato prova tangibile di vicinanza fraterna, anche da luoghi distanti.
Maria Michela Petti
07 aprile 2023