Quel filo sottile che separa i sogni di gloria dalla vanagloria
“Non merito tutto questo”.
È stato il rammarico esternato a più riprese da Gianmarco Tamberi a conclusione della sua partecipazione ai Giochi Olimpici di Parigi 2024. Il già campione olimpionico si è lasciato andare ad uno sfogo amaro per un risultato contrario alle aspettative, compromesse dai sopraggiunti problemi di salute, aggiornati in tempo reale sulle sue pagine social. Problemi ai quali, tuttavia, ha dimostrato di non voler arrendersi senza provare ad affrontare il salto più in alto del limite improvviso, che si è preso beffa dei grossi sacrifici richiesti a sé stesso per la realizzazione di un progetto anteposto ad ogni altro scopo della sua vita.
Sarebbe da ipocrita negare che più di qualcuno, in questo mondo, abbia pensato e detto almeno a sé stesso di non meritare “tutto questo” in costanza di circostanze avverse. Quanto a me: non nascondo di essermelo ripetuto più di una volta.
A catapultare dalla pedana dello Stade de France al ruolo di semplice vivente il saltatore, che ha voluto comunque tentare di dimostrare la riconferma del suo valore atletico, sono bastati pochi millimetri in altezza di un’asticella che non ha retto il peso della sua volontà… E pochi attimi… preceduti fino all’ultimo momento utile da esercizi di autosuggestione per esorcizzare le premesse negative di una prova agonistica che aveva sperato con tutte le sue forze di poter concludere con successo.
“Tutto finito” aveva scritto sui social al riproporsi del malessere che lo aveva costretto pure a rinviare di qualche giorno la partenza per la capitale francese.
Sempre senza vergognarsi di lasciar trasparire un tratto della sua fragilità umana, specie quando non è riuscito a trattenere lacrime di delusione dopo il momento che, comprensibilmente, ha vissuto come un “fallimento”. E che, invece – come accade spesso nelle diverse esperienze vissute dai comuni mortali – non è stato che la fine di un sogno, accarezzato per tutta la durata della preparazione alla realizzazione del suo progetto da sportivo professionista. Di più: l’avvilimento dell’aspirazione a poter godere meritatamente del frutto delle proprie fatiche.
A Parigi, al levarsi di una delle notti delle stelle cadenti (il 10 agosto) di quest’estate 2024, in Tamberi si è spezzato quel “filo rosso” come Freud chiama la “fantasia [che] è un appagamento di desiderio, una correzione della realtà che ci lascia insoddisfatti”.
Al contrario del viandante vanaglorioso di esopiana memoria, che al ritorno da un viaggio a Rodi millantava l’impresa di un salto in lungo impareggiabile – appellandosi a testimoni potenziali – e perciò invitato da un ascoltatore a darne dimostrazione sul posto (“Hic Rhodus, hic salta!”), l’atleta marchigiano plurimedagliato ha caparbiamente voluto tentare la dimostrazione del superamento di ogni suo limite. Pur essendo già nella Storia dello sport e no: con l’oro agli Europei di Roma dell’11 giugno scorso, l’oro ai Mondiali di Budapest 2023 e l’oro ai Giochi di Tokyo 2021. Tanto per ricordare solo le più recenti conquiste del suo palmares.
Il campione sportivo, che ha fatto sognare gli italiani ravvivandone l’orgoglio nazionale, non è detto che non prosegua in futuro nella scia dei successi, dopo aver ristabilito un altro ordine di priorità nella scala dei valori della vita, preservandoli dalle influenze negative della notorietà, e tenendosi a distanza di sicurezza dalle sirene e dalle pressioni mediatiche. Con ciò ponendosi, tra l’altro, come punto di riferimento, figura esemplare completa, per le nuove generazioni.
Impietoso il confronto fra la categoria dei portatori di sogni di gloria genuina e quella dei vanagloriosi.
Tanto i primi – con qualunque azione di interesse pubblico e privato si propongano di realizzare nel rispetto dei canoni comportamentali corretti e della dignità dei propri simili, a qualsiasi classe sociale essi appartengano – risultano ammirevoli e autorevoli, quanto all’opposto i secondi – alla continua ricerca dell’esaltazione del proprio ego, senza freni nel saltare sempre più in là, scavalcando chiunque sia avvertito come un ostacolo – suscitano imbarazzo e antipatia.
Quanto sono patetici coloro che rincorrono la visibilità, sfruttando ogni mezzo a disposizione, in particolare quelli della tecnologia moderna verso i quali sviluppano una dipendenza psicologica di difficile cura! Smaniando per incunearsi in tutti i canali della comunicazione. Come se fosse sufficiente parlare e far parlare di sé, in base ad una buona strategia di marketing promozionale, per garantirsi un posto nella Storia.
Poveri illusi, prigionieri nel loro guscio di pochezza e di inutilità! Costretti a strisciare sotto il peso dei loro limiti e con la visuale molto ridotta. Al pari de “La lumachella de la Vanagloria” di Trilussa che “strisciata sopra un obelisco, guardò la bava e disse: Già capisco che lascerò un’impronta ne la Storia”.
I vanagloriosi scivolano in avanti sì, ma soltanto perché agevolati dalla viscosità della loro “bava”. Lasciandosi alle spalle e consegnando alla Storia troppo spesso fatti che il più delle volte tentano invano di modificare o correggere, attraverso fallimentari artifizi verbali e omertosi.
Per quante chiacchiere si sia capaci di sprecare, i fatti restano incancellabili e non sono suscettibili di modifiche e correzioni a proprio piacimento, con le parole. Tutt’al più si possono – anzi: sarebbe doveroso – sanare le conseguenze di azioni deprecabili e dannose in misura incalcolabile per chi le avrà subite.
Ma questo non rientra nel sentiment dei vanagloriosi, arroccati nella loro mania di grandezza.
La vita dà, la vita toglie. Suol dirsi.
Ma: nessuno – e nell’accezione generica la vita – potrà mai strappare i trofei conquistati in eventi di ogni genere e i successi, ineliminabili in alcun modo, conseguiti in ogni mansione esercitata, da quelle apicali fino all’ultima delle funzioni generiche.
Mai nessuno ha potuto e potrà mai appropriarsi di quanto realizzato da altri con le sole loro proprie forze, con l’impegno costante, con un comportamento onesto nel rapporto con i compagni di viaggio in questo mondo, a qualunque ceto e razza appartengano.
Anche se, disgraziatamente, è fra questi che si nascondono i fraudolenti che, con l’arte di cui sono maestri, sembrano destreggiarsi alla grande e ostentano una ricchezza di doti posseduta illusoriamente per i furti messi a segno, incuranti dei gravi danni arrecati ai defraudati, sotto tutti gli aspetti: materiali e morali. Finché dura, perché alla lunga e non di rado finiscono avvolti dalle fiamme degli appetiti insani, saziati senza avere freni inibitori.
In ogni caso, l’oggetto del desiderio – carpito ed esibito come bene personale – è e resta un oggetto estraneo alla personalità dei fraudolenti.
E, può capitare – di frequente se n’è avuto sentore – che la fama di cui si goda, anche a livello planetario e che alimenta la bulimia di gloria, si dissolva come la cenere lasciata dal fuoco che acceca e brucia in primis il ben dell’intelletto dei truffatori.
Come fu per Guido da Montefeltro, incontrato da Dante nell’VIII Cerchio delle Malebolge (Inferno, XXVII) fra i dannati per fraudolenza che si aggirano avvolti, appunto, dalle fiamme che li sottraggono alla vista.
§ Che ovunque e sempre sia benedetta l’indefettibile legge del contrappasso! §
Uomo d’armi e politico navigato in vita, la sua fama di consigliere astuto aveva raggiunto “i confini del mondo” permanendo dopo la “conversione” – che lo aveva spinto a cingere il cordone francescano come viatico per redimersi – tanto da spingere Bonifacio VIII (“Lo principe d’i novi Farisei”) a richiedere la sua consulenza per porre fine alla guerra che aveva intrapreso “presso a Laterano… ché ciascun suo nimico era cristiano”.
Ed ecco che: come l’occasione fa l’uomo ladro, la promessa di un perdono preventivo, poi rivelatosi invalido, e la paura di ritorsioni se avesse opposto un rifiuto al papa, fecero ricadere il Guido nel peccato abituale, condannandolo alla pena eterna;
“ch’assolver non si può chi non si pente,
né pentere e volere insieme puossi
per la contradizion che nol consente”.
Contraddizioni e discordanze. Fra un pensiero e l’altro; fra pensieri in opposizione ai valori illuminati dalla ragione e da coscienza retta; fra parole e fatti.
Che sono il terreno fertile per la costruzione di castelli di sabbia destinati a crollare. Sogni irrealizzabili che, col trucco, imprigionano la mente e la psiche nell’illusione della (vana)gloria.
Maria Michela Petti
19 agosto 2024