Notte di stelle cadute
In una di quelle notti agostane, che si preannunciava propizia per lo spettacolo delle stelle cadenti, un pescatore non più tanto giovane, ma sempre arzillo e troppo spesso sopra le righe, uscì con la sua lampara assaporando la gioia di prendere due piccioni con una fava: una ricca pesca per incrementare le entrate e catturare una stella per affidarle il desiderio di poter moltiplicare quelle uscite notturne redditizie.
Mentre prendeva il largo, si beava dell’ampio specchio d’acqua illuminato dalla luce vivida della sua lampada, così potente da esserne abbagliato, che avrebbe attirato pesci a frotte. E con questa convinzione, che lo aiutava a sopportare il fastidio agli occhi, accarezzava la speranza di catturarne di pregiati e di grossa taglia.
Cullandosi sull’onda dei desideri e lasciandosi cullare dalla dolce oscillazione della barca, raggiunse una distanza dalla riva tale da averla persa di vista.
Immerso in una solitudine irreale, per un attimo pensò con spocchia ai tanti che probabilmente avevano abbandonato il centro abitato per raggiungere il punto di ritrovo ideale per ammirare la caduta delle stelle.
Sai che brusio! rimuginò fra sé e sé, mentre godeva del silenzio che gli rimandava soltanto la carezzevole melodia dei suoi pensieri: un tutt’uno di ricordi, progetti e bramosie. Li immaginò a perdere tempo con i loro nasi all’insù, contrariamente all’ attesa laboriosa che si stava apprestando a vivere.
Dopo aver calato la rete si lasciò andare ad un meritato relax con il favore della serenità ambientale che finì col conciliargli il sonno. Mancano ancora alcune ore – aveva riflettuto – prima di quella prevista per lo spettacolo, secondo l’esperienza maturata negli anni, e avrebbe spento la lampada in tempo utile per stabilire il buio necessario per il suo godimento.
Ma: anche il più abile nell’avere tutto sotto controllo non sempre riesce a regolare il ritmo sonno-veglia, senza l’ausilio di una suoneria impostata a dovere…
E così, il povero pescatore restò stretto fra le braccia di Morfeo più a lungo di quanto avrebbe voluto, estasiato da una scia luminosa che … si era andata pian piano dileguando, costringendolo ad aprire gli occhi… e a rendersi conto che si era trattato di un bel sogno, finché era durato.
Il sole spuntato all’orizzonte smorzava la luce della sua lampara, perciò si affrettò a spegnerla. E, per consolarsi un po’ per il mancato godimento dell’irreale luminosità di meteoriti vaganti nello spazio, tagliò corto con i vagheggiamenti: in fondo non si era perso altro che una pioggia di detriti che si erano surriscaldati – di qui lo sciame splendente – e bruciati entrando a contatto con l’orbita terrestre.
Quindi: bando ai sogni! bisognava tornare alla vita pratica, all’occupazione quotidiana che, in quel preciso momento, significava tirare la rete in barca, supponendola colma di prodotto e di prima scelta.
Ahimè! mai si sarebbe aspettato un’altra spiacevole sorpresa.
Quando si dice che: “i guai non vengono mai da soli”!
Gli bastò poco, non appena ebbe afferrato la rete, per capire che era del tutto sproporzionata l’energia che aveva impresso alla presa. Infatti: del pescato nemmeno l’ombra. E, una volta sollevatala completamente, dovette arrendersi alla visione di un vistoso buco che aveva consentito ai pesci finiti nella sua rete (chissà in quale quantità!) di sopravvivere alla cattura e guizzar via.
Con ogni probabilità l’autore della beffa poteva essere stato un granchio. Eh, sì: aveva preso un granchio e non solo letteralmente parlando. Infatti, in senso metaforico, non si contano più le volte in cui ha collezionato… granchi madornali.
Per non tornare a riva con le pive nel sacco, ovvero con i secchi destinati alla raccolta del pescato tristemente vuoti, decise di fare un estremo tentativo con la lenza. Per un po’ restò in attesa che all’amo abboccasse un pesce di grosso peso. Ma: tutto quello che avvertiva era un leggero sciabordio e, dopo un lasso di tempo che gli era sembrato piuttosto lungo, decise di cedere al prossimo che avrebbe abboccato l’amo.
Eccolo, infine, il pesciolino catturato con un’esca per di più artificiale.
Eh, no! – pensò il pescatore che si sentiva come un pugile suonato – non sarai tu a privarmi anche della goduria e della prerogativa di essere io stesso una lenza.
E, senza pensarci un attimo, gettò in acqua il pesciolino, ormai privo di vita, che non sarebbe mai riemerso dalla profondità del mare a ricordargli di una notte da dimenticare e del fallimento di un progetto vitale per la sua sopravvivenza.
Lasciandosi alle spalle la schiuma bianca delle onde tagliate dalla barca, puntò la prua verso la riva, ostentando impassibilità di fronte al fiasco riportato.
Come si dice: per puro caso, proprio in “Sogno di una notte di mezza estate”, W. Shakespeare soddisfa la curiosità: «Maestro, vorrei sapere come vivono i pesci nel mare» con la risposta che non teme smentite dalla realtà: «Come gli uomini sulla terra: i grandi si mangiano quelli piccoli».
Perché, dunque, avrebbe dovuto preoccuparsi? non era accaduto in quella notte, ma: prima o poi tutti i pesci, anche i grossi, finiscono in qualche rete e vanno infine a deliziare i palati di amici di tavolata.
Quante volte era successo a lui in veste di anfitrione o di convitato partecipare a banchetti e parties anche per sfruttare un’occasione propizia per elaborare o perfezionare un programma per un’azione di interesse comune!
Ne era certo: la rete di amicizie e scambi di favori avrebbe retto… al morso di un qualsiasi granchio.
E: con il suo curriculum non temeva imprevisti “colpi di timone” o improvvidi “colpi di coda”.
Per quanto… non sia mai da escludere un tradimento. Giuda, che aveva consumato con il Maestro l’ultima Cena, docet: per soldi non aveva esitato a consegnarlo ai nemici, siglando però con quel gesto la sua brutta fine.
Andando al sodo, il pescatore si compiaceva per aver fatto bene i suoi calcoli, tanto da illudersi di poter continuare a dormire sonni tranquilli… anche perché le stelle cadute non sarebbero potute tornare a… brillare e a confondere i suoi piani.
Sempre che, però, la vita non teneva in serbo per lui un altro brusco, tristissimo, risveglio.
Lo schema secondo cui aveva condotto la vita con filosofia, tuttavia, non contemplava il fasciarsi la testa prima di essersela rotta. Allora, colse l’attimo e rinviò al “diman” – con ragionevoli margini di dubbio – “tristezza e noia [che] “recheran l’ore”. (Leopardi, “Il sabato del villaggio”)
Maria Michela Petti
18 agosto 2021