Nella Luce di Betlemme il vangelo dell’umiltà e del silenzio
“Veniva nel mondo
la luce vera,
quella che illumina ogni uomo”. (Gv 1,9)
A guardare lo spettacolo che si offre agli occhi di noi pellegrini su questa terra, inoltratici nel terzo millennio, pare che il mondo non si sia fatto inondare da quella Luce vera apparsa nella Notte Santa, lontana nel tempo.
Tanto che anno dopo anno per celebrare la memoria del mistero della salvezza, per chi crede, nel dono del Dio fattosi uomo, intensifichiamo l’accensione di luci artificiali che concorre a dilatare quella che nel parlare corrente viene descritta come “magia del Natale”.
E, per tutto il periodo più o meno lungo dei preparativi e della festa propria viviamo immersi in un’atmosfera che sembra allontanare, o in qualche modo alleggerire, il peso dell’abituale quotidianità. Complice anche l’entusiasmo dei bambini contagioso, e genuino in quanto – in ogni caso – se non del tutto, meno distolto dalle (s)manie consumistiche che hanno finito col deturpare il messaggio del “dono” in occasione di questa ricorrenza.
Prendendo in considerazione la parola “magia” – attribuita con tutte le buone intenzioni al Natale – lo stato dell’arte del resto dell’anno, su cui non volenti lasciamo cadere lo sguardo, mi rimanda l’impressione di un incantesimo che sfuma con lo spegnersi delle luminarie e delle luci degli addobbi natalizi. E che anche la Luce della Grotta resti confinata nel presepe, allestito e poi riposto lontano dalla vista fino al dicembre successivo; e come suggerisce l’etimologia della parola derivata dal latino prae-saepes: in un recinto, cioè luogo che ha davanti un recinto, proprio come una stalla.
Fu una stalla ad accogliere il Dio-con-noi, con Giuseppe e Maria lì riparati, non avendo trovato ospitalità in alcun albergo del posto.
La Luce vera si accese in quella grotta, dove il “Bambino di Betlemme” – come amava chiamarlo con accenti di tenerezza unica Francesco d’Assisi, si legge in Tommaso da Celano – si mostrò nello splendore dell’umiltà disarmante ai più umili della popolazione. Ai pastori che nei dintorni accudivano le greggi, svegliati nella notte da una luce abbagliante e dal coro degli Angeli che, gloriando Dio, annunciarono loro la lieta Novella della nascita di Dio “per noi”, che trovarono avvolto in semplici fasce, deposto in una mangiatoia e riscaldato dall’alito di un bue e di un asino.
In quella cornice di povertà estrema si inserì pure l’adorazione dei Magi, tutt’altro che poveri e incolti, che non disdegnarono per il loro viaggio la guida di una Stella, pur di omaggiare con doni degni di un sovrano un Bambino del quale riconobbero la regalità. E che, ad un tratto, avendo perso di vista la cometa, si rivolsero ad Erode, re della Giudea, uomo di pari rango, per essere edotti del percorso in direzione della meta stabilita. Costui, del tutto ignaro di questa nascita che avvertì subito come una minaccia al suo potere personale ed esclusivo, chiese ragguagli agli uomini della sua corte; oggi si direbbe: al suo staff.
Informato sul luogo profetizzato per la venuta del Messia, ne mise a conoscenza i Magi, preoccupandosi del suo tornaconto. Già meditando sul modo per rendere quel Bambino inoffensivo, chiese loro di ripassare da lui, dopo averLo trovato, per fornirgli notizie utili a soddisfare il pretestuoso desiderio di farGli visita a sua volta.
Ma, come si sa, i piani divini erano altri e i Magi, avvertiti in sogno di non ritornare dal re della Giudea, invertirono l’itinerario di ritorno.
Chi non cambiò idea e rimase fermo nella decisione di eliminare colui che temeva potesse spodestarlo fu Erode, che tagliò la testa al toro ordinando la strage di tutti i bambini di Betlemme e del suo dominio fino ai due anni di età.
In quella Grotta, culla di un mistero della cristianità – stando alla narrazione degli evangelisti – fu scritto il vangelo del silenzio. Nessuna parola distolse il raccoglimento dei visitatori giunti per la preghiera personale rivolta al Dio-bambino, che si era fatto piccolo nel dono di Sé per riscattare l’umanità dal peccato, testimoniando fin dal primo vagito la lezione della gratuità nella semplicità.
A quella “scuola superiore” di povertà, abilitante alla trasmissione dell’insegnamento a “farsi piccoli” per meritare il Regno dei Cieli, i Magi furono introdotti grazie alla loro disponibilità a fidarsi della guida di un astro luminoso. Non seguendo una meteora o servendosi di una delle tante luci artificiali, cui si ricorre per uscire dal buio reale e dalle tenebre di varia origine che rendono difficoltoso il cammino dei viventi su questa nostra terra.
Dismessi i panni regali, essi – che pur appartenevano alla classe dei sapienti – si inchinarono dinanzi alla grandezza di un Bambino appena nato, non dinanzi ad una creatura mitizzata. Dinanzi al Figlio di Dio, venuto a fare la volontà del Padre, con Maria e Giuseppe, cooperanti al medesimo disegno per la redenzione dell’umanità.
Lasciandosi illuminare dalla “Luce vera” che era venuta nel mondo, i Magi – abbassatisi alla condizione di umili discepoli – si resero esempio di predisposizione alla Sua accoglienza e modello di insegnamento del messaggio salvifico, per favorire la crescita di una coscienza collettiva incline al superamento degli ostacoli che si oppongono a tale predisposizione.
A partire da quello rappresentato dalla pretesa di superiorità: sia culturale – che impedisce, il più delle volte, di abbattere un’ignoranza mascherata – che sociale, massimamente accentuata negli assetati e ossessionati dal potere, alla quale si accompagna un malinteso concetto di libertà conquistate. Oggi come in ogni tempo. Con sconfinamenti in eccessi di disumanità sfogata in atti di violenza fisica e/o psicologica, con la prima a lasciare sul terreno cadaveri e ferite visibili, e l’altra a seminare “morti bianche” più difficili da riconoscere. In ogni caso: sofferenze di cui nessuno, oltre le vittime e congiunti, riesce ad avvertire la reale gravità col peso del marchio a vita.
Conseguenze che affondano le radici in “quel guazzabuglio del cuore umano” ben lontano dalla sensibilità di un bambino, che troppo spesso fa vedere fantasmi malefici dove non ci sono e minacce alla propria persona e alla posizione conquistata nella società in soggetti, per lo più innocui e inermi, ma che paure e fragilità personali trasformano in individui pericolosi da neutralizzare a ogni costo.
Proprio come fece Erode decidendo la strage di innocenti, pur di eliminare quel Bambino, che – sebbene mostrato nell’impotenza della sua età – preceduto e accompagnato da una profezia non alla portata di cuori aperti, irrompeva nel suo dominio: la Giudea, prefigurando un’incognita per il suo futuro di uomo del destino per la gente sotto il suo potere.
Incognita che aleggiò nella domanda «Sei tu il re dei Giudei?» durante il processo che si concluse – per il compimento delle Scritture – con la condanna a morte dell’Innocente, riconosciuto tale dallo stesso Pilato al quale era stato rimesso il giudizio.
Davanti al Bambino di Betlemme: una sola preghiera dettata dalla fede e dalla speranza in Colui che non delude.
Che quel Bambino, con la Sua potenza divina – non intaccata dalla natura umana che accettò dalla volontà del Padre – rinasca nel cuore di ogni uomo, facendo nascere o rinascere in ognuno il bambino che è stato o che sarà. Perché sia Natale ogni giorno dell’anno, per la durata della vita di ogni essere umano.
Maria Michela Petti
23 dicembre 2024