L’invito che ancor ci offende
Per questo quarto anniversario di una vicenda che sarà ricordata per il suo disvalore, e che pertanto tento di depotenziare non citandola espressamente, ho deciso di regalare a tutti noi la pubblicazione dell’invito ad un incontro conviviale, fissato per il 20 giugno 2019, in onore di un ospite molto importante: il papa.
Invito che ci arrivò inopportuno e che ancor ci offende. Fu sufficiente lo scambio di un semplice sguardo d’intesa fra noi a farci convergere sulla decisione, in controtendenza, di declinarlo con signorile fierezza.
Per sottrarci ad una probabile strumentazione a fini propagandistici, una volta ridotti a figurine per un album ricordi a memoria di una cena, facilmente interpretabile in chiave banchetto alla figliol prodigo. E, magari, come da abitudine ormai invalsa, finiti a “fare notizia” in funzione di una narrazione standard, forse anche per un tentativo maldestro di ridimensionare il linciaggio morale con gli annessi e connessi alla scellerata e vergognosa operazione mediatica del 5 aprile 2017.
«Chi t’accarezza più dell’usato, o t’inganna o ti ha già ingannato», recita un proverbio. Ne siamo convinti, per l’esperienza maturata che non è certamente roba di poco conto, e che ci ha costretti ad imparare, a nostre spese, la lezione di Pirandello: «nel lungo tragitto della vita incontrerai tante maschere e pochi volti».
Infatti: sono maschere quelle che celano i volti di cuori carenti di pietà, in quella che è solo una recita a soggetto. Ha cognizione della pietà soltanto chi, in stato di bisogno, ne sperimenta la mancanza.
Senza pietà fu lo schiaffo mollato alla nostra sofferenza con questo invito, sull’altra guancia che avremmo forse evangelicamente porto se non fosse stata già completamente ferita. Un gesto, fuori di ogni dubbio, non ad esclusivo vantaggio di Eugenio e nostro, che reclama tutt’altro agire.
La conferma è nei termini di questo commento alla prova pubblicata con il dovuto accorgimento di non svelare particolari che riserverebbero spiacevoli conseguenze a persone coinvolte loro malgrado in questa triste storia, sia quali tramite dell’invito in oggetto (non si creda che appuntamenti del genere siano programmati e realizzati senza la previa approvazione, fin nei minimi dettagli, da parte dell’entourage della personalità in onore della quale vengono promossi) sia per essere state, in precedenza, incaricate di “messaggi”… ingiuntivi… e in netta antitesi … che saranno resi noti nel tempo e nei modi più opportuni.
Non è breve – quattro anni – l’intervallo trascorso dal momento in cui si elaborò mediaticamente, non senza il favore di (ir)responsabili rimasti ignoti, il racconto che non è solo di “un caso” oscuro, ma è soprattutto di una storia squallida che ha offeso la dignità di una persona, spezzandone la vita.
Fa “rumore” in Vaticano, la “strana storia”, ebbe a scrivere qualcuno. Qualche altro, pur arricchendola di particolari sconosciuti al diretto interessato e a noi suoi familiari, precisava che «Nessuno vuole parlare», mentre dalla Sala Stampa l’allora direttore si limitava alla lapidaria dichiarazione: «Da una settimana Hasler non lavora più in Vaticano».
Al nocciolo della questione, sorge spontanea una domanda: non sarà che si sia data voce al “rumore” del silenzio e del non detto, scambiato con le ciarle spifferate da reconditi recessi???
Maria Michela Petti
27 marzo 2021