Lavoro e diritti. La musica discordante si alza di tono
La parola “merce” è affiorata di nuovo in una controversa questione di lavoro di cui si è avuta notizia oggi, 12 maggio, riguardante un gruppo di dipendenti dei Musei vaticani, che hanno avviato tramite il legale rappresentante procedura formale per far valere i loro diritti, ritenuti violati in più punti, come di alcuni da qualche anno si era spifferato su organi di stampa.
Nell’istanza, indicata dal “Corriere della Sera” come «prima “class action”» promossa tra le mura leonine, e notificata nei giorni scorsi al card. Fernando Vèrgez Alzaga, Presidente del Governatorato – ente amministrativo di riferimento – i denuncianti (47 custodi, un restauratore e un addetto al bookshop) senza mezzi termini verbalizzano: «Il Papa parla di diritti, ma noi qui dentro siamo considerati semplice merce».
Persone che si sentono percepite come “semplice merce”.
Per la serie: niente di nuovo sotto questo cielo…
Cosa, forse, ben più grave del considerare “merce” il lavoro, come opportunamente stigmatizzato dal Presidente Mattarella nel discorso pronunciato presso il centro agro-alimentare del Cosentino, alla vigilia del 1° Maggio, Festa dei Lavoratori. Oggetto del mio Post precedente su «Cosa manca alla questione “lavoro”?» al quale mi riallaccia la parola che, a distanza di pochi giorni, si ripropone in un accostamento tremendamente dissonante.
La “mala gestio”, lesiva dei diritti e della stessa salute fisica dei dipendenti dei Musei vaticani, sarebbe – si insinua nella denuncia – ancor più deplorevole se dettata dal calcolo per un maggior profitto.
Le rivendicazioni avanzate vanno dalla revisione del blocco delle assunzioni, della sospensione di promozioni e dei passaggi di livello funzionali, nonché del taglio degli scatti biennali di anzianità, al mancato pagamento delle ore di lavoro straordinario, e al recupero gratuito delle ore spese obbligatoriamente in casa nel periodo del lockdown con impossibilità di lavorare in smart-working.
Di rilievo la denuncia della mancanza di una regolamentazione delle visite fiscali, in fasce orarie prestabilite, in caso di malattia, che “si trasforma in un vero e proprio obbligo di dimora”, con la paradossale conseguenza – già verificatasi – di sanzioni applicate a dipendenti che, al momento della visita, si trovavano presso ambulatori medici.
Si denunciano inoltre penalizzazioni per chi si trova nella necessità di doversi occupare di familiari malati e condizioni deficitarie di sicurezza nei posti di lavoro.
Se nell’arco di trenta giorni non si perverrà ad una “conciliazione”, la vertenza seguirà l’iter giudiziale.
Un’altra pagina, non di semplice “cronaca”, che indubbiamente non depone a favore della credibilità dei paladini dei diritti umani fondamentali e della dignità delle persone di cui ci si riempie la bocca.
Maria Michela Petti
12 maggio 2024