Il Natale del mio sentire
Sta per concludersi l’Avvento. Con la Venuta di Gesù Bambino che, in realtà, venne in quella notte che ci apprestiamo a rivivere in un’atmosfera che, a tratti, ogni anno sembra assumere sempre più i contorni e i toni di una favola che, per la durata di poco più di un mese, rasserena gli animi, apre i cuori alla speranza e lascia presagire propositi di bontà, preludio di una convivenza più a misura d’uomo, anelata ma mai realizzata.
Tant’è che, ad ogni cambio di calendario, ci ritroviamo a fare i conti con i problemi pregressi, irrisolti e di difficile soluzione, cui se ne aggiungono di nuovi.
Come se la vita rispettasse un copione che ci vede spettatori, senza arte né parte, e tutt’al più come comparse.
Sicché di volta in volta, chiusa la parentesi dell’attesa entusiasmante prima e a seguire della rivisitazione di una nascita estasiante, si torna sempre al ritmo delle abitudini quotidiane antecedenti. Un salto nel passato, simile al passo del gambero, quando già il piede muoveva nell’ anno appena iniziato, portatore – ci si era augurato reciprocamente – di buone nuove.
E sarà così fino alla medesima scadenza successiva, replay di quella appena lasciata alle spalle.
Spente le luminarie e gli addobbi natalizi, che per poche settimane hanno rischiarato esterni ed interni di ogni luogo abitato, il tutto ripiomba nella piattitudine dell’ordinarietà complicata. Smontato il presepe – laddove la tradizione viene rispettata – con la figurina centrale riposta insieme a tutti gli altri personaggi ed ornamenti, anche il Bambinello sembra finire in standby… fino al prossimo Natale.
Il ricordo di quel “Bambino di Betlemme”, di “Gesù” – chiamato così su indicazione dell’Angelo a Maria e a Giuseppe, nome che significa: “Il Signore salva” «il suo popolo dai suoi peccati”» (Mt 1,21) – affiorava in ogni momento sulle labbra di San Francesco, ricorda Tommaso da Celano nella “Vita prima” (115).
«…quella sorgente di illuminato amore, che lo riempiva dentro, traboccava anche di fuori… Gesù portava sempre nel cuore, Gesù sulle labbra, Gesù nelle orecchie, Gesù negli occhi, Gesù nelle mani, Gesù in tutte le altre membra» (FF 522). «E ogni volta che diceva “Bambino di Betlemme” o “Gesù”, «passava la lingua sulle labbra, quasi a gustare e deglutire tutta la dolcezza di quella parola» (Ibid. 86: FF 470).
Quali corde del mio cuore tocca questa sacra ricorrenza?
Fra ricordi di una festa vissuta in anni, ormai lontani, nel luogo dove sono nata e cresciuta, anch’esso lontano nello spazio, ma dove corre costantemente il pensiero e si rifugia la mente, soprattutto quando sento il bisogno di rivivere lo spirito di giornate particolari, come queste di ogni fine anno, e speranze che – purtroppo – la triste realtà specialmente del tempo più recente ha smorzato, mi abbandono più che al sogno all’immaginazione del mio Natale ideale.
Per il mio sentire, e per come lo vorrei: sarà Natale quando questa ricorrenza annuale permeerà ogni giorno del calendario di ogni anno, ogni momento della nostra vita.
Quando quel Bambino nascerà per restare – finalmente! – nel cuore di ogni uomo, di tutti gli uomini di questo mondo piuttosto carente di umanità.
Sarà Natale quando, giorno dopo giorno, percorreremo la strada che ci indicherà la luce della stella che si posò sulla grotta dove il Figlio dell’Uomo si manifestò con il corpo di un neonato per insegnarci a farci piccoli. Come ebbe poi modo di spiegare in una predicazione (cfr. Mt 18,1-14): «se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli», mettendo in guardia dal «disprezzare uno solo di questi piccoli».
Quanti “piccoli” – e non solo tali per età anagrafica, ma ogni uomo schiacciato da maniaci di grandezza e soprusi – sono stati e sono ancor oggi disprezzati nel disinteresse generale, anche in ambienti e ad opera di soggetti all’apparenza al di sopra di ogni sospetto!
E, proseguendo con la parabola della pecorella smarrita, richiamò l’attenzione sul pastore che va alla sua ricerca e si rallegrerà più per essa, “se gli riesce di trovarla”, che per le altre novantanove lasciate sui monti, tornando a ribadire la volontà del Padre che «non vuole che si perda neanche uno solo di questi piccoli».
Ecco: i piccoli e le loro debolezze in senso lato. Piccoli affidati a pastori che dovrebbero avere a cuore che nessuno di quelli che si fidano di loro e si affidano alla loro “cura” abbia a perdersi in alcun modo e per cause senza senso…
Sarà Natale quando riusciremo a esteriorizzare l’umiltà interiorizzata del Bambino di Betlemme. Perché l’umiltà non è un abito imbastito con belle parole, adorno di guarnizioni fallaci, e ostentato spesso anche soltanto con la semplice quanto subdola negazione o falsa modestia.
Sarà Natale quando l’umiltà autentica sposa la “povertà in spirito”, che segna l’inizio del Discorso della Montagna (Mt 5-7) ed è alla base di tutte le Beatitudini, perché riguarda quella disposizione d’animo che apre al riconoscimento dei propri limiti, delle proprie debolezze, prima che delle miserie umane – che non sono solo quelle materiali – comuni a tutti i mortali. Che induce a contenere l’io in una condizione di inferiorità rispetto al Dio Creatore e di parità nei rapporti con i simili, resistendo alle tentazioni di prevaricazione e di assoggettamento dei più deboli e indifesi. E che suggerisce di guardare al prossimo con lo sguardo di un bambino innocente, privo di quella trave che, invece, trasferisce la sua gravità sulla pagliuzza dell’altro.
Povertà che nella Grotta di Betlemme trovò l’esaltazione di sé, nel silenzio orante e adorante dei pastori – fra i più umili della collettività – accorsi al richiamo del coro di Angeli che, glorificando Dio, annunciarono la lieta Novella della pace in terra agli uomini. Amati sì di un Amore sovraumano incarnato – lì davanti ai loro occhi – ma che, col tempo, complice anche un’accomodante e permissiva interpretazione della Parola, ha portato all’esonero dalla “buona volontà” nella compartecipazione al piano di salvezza, nell’equità e nella giustizia sociale.
Anche i “magi d’Oriente”, poi indicati come “re Magi”, che seguendo la Stella si recarono ad onorare il Bambino e portarono in dono oro, incenso e mirra, si inchinarono dinanzi a Lui. Dinanzi al Re dei re che aveva accettato di farsi piccolo, di abbracciare la condizione dell’uomo per ricondurre tutti al Padre. Avvolto in semplici fasce non disdegnò di celare la sua Regalità, di riposare su del fieno e lasciarsi riscaldare dal fiato di un bue e di un asinello.
Quale stridente contrasto con i tanti sovrani di questo mondo che, al pari del re nudo di anderseniana memoria, accecati dal narcisismo e dalla smania di potere, si trascinano in un’esibizione incedente della propria nudità, visibile solo agli occhi di un bambino ignaro dei trucchi di una realtà falsificata e non sfiorato dalla corruzione! Sporcizia che snatura pure i ciambellani, dediti per opportunismo a reggere strascichi di “abiti nuovi dell’imperatore” che non ci sono e che, soltanto con uno scaltro gioco di parole, concorrono nell’illudere i creduloni, coprendo l’oscena nudità che ci si ostina a non voler ammettere.
Falsità e giochi di parole per tentare di nascondere la verità dei fatti, ingannando la credulità popolare, finché l’incantesimo non si spezza…
Siamo stati avvertiti: megalomani e sprovveduti, imbroglioni e vittime di inganni. «Guardatevi dal lievito dei farisei, che è l’ipocrisia. Non c’è nulla di nascosto che non sarà svelato, né di segreto che non sarà conosciuto». (Lc 12, 1-2)
E i tessitori di trame oscure finiscono prima o poi col perdere la credibilità e con essa la faccia, non solo la maschera indossata spudoratamente e fin troppo a lungo.
In preghiera fervente davanti al Bambino, vessillo di libertà nella Verità, per molte ragioni trovo consono a quanto esposto il tema della XXXIX Giornata Mondiale della Pace (2006) “Nella verità, la pace”. Estremamente attuale oggi, con i venti di guerra che soffiano impetuosi anche nel cuore dell’Europa, esso diventa un grido di dolore soprattutto per la strage dei tanti bambini morti sotto i bombardamenti che si susseguono da ormai dieci mesi, senza che si intraveda una possibilità per la cessazione delle ostilità, anzi con la minaccia incombente dell’estensione del conflitto su uno scenario più vasto di quello attuale.
Maria Michela Petti
22 dicembre 2022