Se…a pregare resta il respiro
«Il lavoro ci aiuta a rimanere in contatto con la realtà». È l’affermazione a mo’ di esempio introdotta dal papa nella catechesi dell’udienza generale di oggi, 9 giugno, incentrata sulla “perseveranza nella preghiera”.
Preghiera che «non è in contrasto con l’operosità quotidiana» ha spiegato, perché è il “respiro di tutto”.
Sì: è «il sottofondo vitale del lavoro». Ma: non solo. Guai se non lo fosse anche per chi in (relativamente buona) sostanza continua a respirare, per volere di Dio, nonostante il respiro si sia fatto affannoso a causa di una irrituale decisione papale che ha segnato la perdita inspiegabile – incomprensibile e inaccettabile – del posto di lavoro, come ormai noto.
Perché – ha scandito ancora – la preghiera «si adatta al ritmo del respiro… respiro [che] non smette mai…».
È il respiro, finché si è in vita, a fissare il contatto con la realtà con la quale – volenti o nolenti – ci si deve confrontare giorno dopo giorno, anno dopo anno…
E, allora: è lo stesso respiro che diventa preghiera. Una preghiera che, certamente, non «ci aliena dalla concretezza del vivere» e, almeno, di sicuro non si corre il rischio paventato dal papa che essa diventi «spiritualismo, oppure, peggio, ritualismo».
Al buon Dio l’istanza di accoglierla!
Maria Michela Petti
09 giugno 2021