Onestà morale vs. clamore mediatico
Premetto che mi ero riproposta di rinviare ad un altro momento – almeno a fra un paio di settimane – la confidenza che delineerò di seguito, per non soffiare sul fuoco di una polemica politica che è venuta ad intersecarsi con i temi più strettamente pertinenti alla lunghissima campagna elettorale che sta precedendo le elezioni per il Parlamento europeo, in programma nel nostro Paese per l’8 e il 9 giugno prossimi.
Polemica innescatasi per vicende del passato – in un caso remoto, nell’altro più prossimo – di concittadini balzati agli onori delle cronache, con accentuato rilievo negli ultimi mesi, per violazione di diritti in storie giudiziarie intricatesi oltre confine. E, nonostante sviluppi significativi nel loro interesse, si è assistito alla quotidiana messa in stato di accusa della classe governativa per presunte parzialità di trattamento e insufficiente solerzia nella soluzione dei “casi” in questione. Con i chiamati in causa costretti a giustificare il modus operandi in linea con i canoni comportamentali nei rapporti fra Stati e a reiterare l’assicurazione dell’impegno nel garantire l’assistenza necessaria a tutti gli italiani (circa 2.000) detenuti in penitenziari all’estero.
La molla che ha fatto scattare la scrittura del presente Post – in anticipo rispetto alla mia intenzione iniziale – risiede nella pubblicazione di due lettere firmate dal fratello della vittima di un omicidio di cui è stato incolpato Chico Forti, condannato per questa accusa all’ergastolo da espiare in Italia, dopo l’estradizione della settimana scorsa dal carcere di Miami, dove ha scontato i primi 23 anni della pena.
I messaggi – il primo del 2020 indirizzato al governatore della Florida, l’altro di questi giorni alla mamma di Forti – firmati da Bradley Pike, convinto dell’innocenza dell’accusato, e letti durante la trasmissione televisiva “Quarto Grado” di venerdì scorso, sono state pubblicate ieri (25 maggio 2024) da alcuni organi di stampa, fra cui “Il Giornale” (al link di seguito).
Oltre che per il vibrante appello a favore della scarcerazione di Forti, le lettere mettono in luce – a mio modo di sentire; a prescindere dalle conclusioni spettanti agli apparati preposti – una sensibilità d’animo non comune e un’onestà morale esemplare. Nella loro essenzialità risoluta ho rintracciato il valore di una testimonianza libera da condizionamenti emotivi negativi, dettati dal vincolo di sangue, e da interesse materiale.
Una lezione di vita che vale più di mille prediche.
Ritenendo una crudeltà inaudita quella inflitta ad una madre con la separazione “dal proprio figlio, indipendentemente dalle sue azioni”, il fratello del defunto Anthony Dale Pike, ucciso in Florida nel 1998, confida in un incontro con la famiglia dell’italiano (che ritiene vittima di una condanna ingiusta) per “piangere insieme le vite sprecate/perdute, pensando a quello che avrebbero potuto essere se tutta questa storia non fosse avvenuta”. E, andando oltre la sofferenza per la tragedia che ha accomunato le due famiglie, augura a quella di Forti di poter un giorno sedersi ad un tavolo “insieme a tutti i vostri cari e guardare negli occhi i vostri figli, lavorando e pregando affinché possano vivere in un mondo più giusto”.
Un augurio per un mondo migliore, “più giusto”, che non può che essere rifondato con il trionfo della giustizia in ogni ambito del sociale e a vantaggio di ogni singolo della comunità globale.
A conclusione della lettera inviata nel 2020 al governatore della Florida, lo stesso Bradley Pike scriveva la seguente frase che, con quelle stralciate dal messaggio alla madre del Forti, ha toccato particolarmente le corde del mio cuore.
“L’omicidio di mio fratello è stata una tragedia che mi ha perseguitato negli ultimi vent’anni, ma aggiungerlo alla sofferenza di un uomo innocente è un peso troppo grande da sopportare per il resto dei miei giorni. Chiedo quindi, per favore, che il signor Forti venga rilasciato dal carcere per evitare ulteriori sofferenze inutili e ingiustificate”.
Quanto stridono questi accorati appelli a confronto con la politica dello struzzo praticata da chi non riesco ad immaginare come faccia a dormire sonni tranquilli e a sopportare il “peso troppo grande” di ingiustizie, tante volte insabbiate e, in qualche caso (come in quello della “cacciata” di Hasler), nonostante tutto, venute alla luce!
A tal proposito inserisco la confidenza circa un intervento del tutto inatteso, risalente ad un anno fa, che ci ha regalato, nella massima discrezione e senza rulli di tamburo, una carezza che ha scaldato un po’ il gelo siberiano dell’abbandono e dell’indifferenza da parte di chi di dovere, andando ad arricchire il numero significativo di missive ed appelli purtroppo caduti nel vuoto infinito, firmati da mittenti per la maggior parte rimasti sconosciuti ai più, ai quali rinnoviamo il nostro “grazie!”.
Mi riferisco ad un intervento non richiesto, ben conoscendo le complicazioni dello stato dell’arte del tutto inusuale in cui si è svolta la vicenda umana e professionale di Eugenio e la nostra vita familiare, che rendo noto per amor della verità e per dare a Cesare quel che è di Cesare. Convinta dalla prova ricevuta della disponibilità concreta e dell’interessamento alla vicenda che ci riguarda che essa sia in linea con le dichiarazioni, da parte di membri dell’esecutivo in carica, circa il sostegno nella misura del possibile garantito agli italiani in difficoltà all’estero.
Ero rimasta delusa dalla mancata accoglienza della mia precisa istanza di portare, senza alcun’altra pretesa, “il caso Hasler” a conoscenza dei tanti politici (eclissatisi a seguito di questo mio inutile tentativo) che, per decenni, ad ogni tornata elettorale, avevano inondato le cassette della mia posta, ordinaria ed elettronica, con richieste di voto e promesse mirabolanti di vicinanza ad ogni cittadino.
Tuttavia, vincendo lo scetticismo che nutrivo, avevo avanzato la segnalazione del “fatto”, in estrema sintesi, presentandomi quale “non votante”, ad un anello di congiunzione con un politico dell’attuale maggioranza di governo che, in occasione delle amministrative dello scorso anno, aveva usato parole per me pesanti sugli elettori che disertano il voto. Gruppo consistente al quale mi sono unita a partire dal referendum costituzionale del 2020, proprio a causa del disinteresse appena denunciato, e – tengo a precisare – non avendo in precedenza mai mancato un appuntamento con le urne.
Scelta del “non voto”, già illustrata con il Post del 16 settembre 2020 su queste nostre pagine e in www.eugeniohasler.info, dalla quale per ragioni comprensibili non recedo, nonostante l’attenzione riservataci di recente, con prova documentale, come accennato e senza aggiungere per ovvi motivi dovizia di particolari.
Tanto ho ritenuto opportuno svelare ora, perché «Per ogni cosa c’è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo» (Qo 3,1) continuando a credere nella lezione, sempre attuale quanto impegnativa, di Giovanni Falcone.
«Che le cose siano così, non vuol dire che debbano andare così, solo che quando si tratta di rimboccarsi le maniche ed incominciare a cambiare, vi è un prezzo da pagare, ed è, allora, che la stragrande maggioranza preferisce lamentarsi piuttosto che fare».
Maria Michela Petti
26 maggio 2024