L’ultima dal papa in materia di lavoro
«Dobbiamo dare ai nostri modelli socio-economici un volto umano, perché tanti modelli lo hanno perso. Pensando a queste situazioni, voglio chiedere in nome di Dio:»
È uno dei tredici tweet lanciati ieri, 16 ottobre, dall’account del papa e ripresi dal Videomessaggio trasmesso in occasione del IV Incontro Mondiale dei Movimenti Popolari che mi ha incuriosito perché, a differenza dei altri, si ferma ai “due punti” e non completa la richiesta, anche se la frase estrapolata dal testo precede la sfilza dei “ Voglio chiedere in nome di Dio” indirizzati a destinatari menzionati nella loro genericità, con l’insistenza cui non ha voluto rinunciare, come dichiarato in premessa.
Andando per esclusione dei “desiderata” chiaramente esposti, non mi è rimasto altro che supporre – in riferimento alle situazioni da “umanizzare” – intendesse richiamare la proposta, esposta al termine di un lungo e ben articolato ragionamento, del «salario universale e la riduzione della giornata lavorativa», rilanciata in questa estrema sintesi dagli organi di informazione, ma che non ha suscitato alcuna reazione da parte di economisti, sindacalisti e politici del nostro Paese, per quel che ho potuto costatare.
È vero che, esclusi i primi, gli altri – di solito pronti a riproporre suggerimenti e appelli papali, ovviamente nell’ottica e nell’interpretazione funzionale ai propri programmi – sono impegnati, nel particolare momento che stiamo vivendo, a cercare soluzioni a tutta una serie di problemi di natura economica e sociale, presenti da tempo ma resi ancora più complicati dalle conseguenze dell’emergenza sanitaria. E, fra queste, da ultimo quelli collegati all’introduzione dell’obbligo del Green Pass che, oltre ad aver contribuito tra l’altro ad aumentare il già diffuso malessere sociale, sta comportando persino la perdita di non pochi posti di lavoro.
Chissà se in un futuro, mi auguro abbastanza prossimo, sarà preso in considerazione il “progetto” delineato dal papa, per di più dal suo punto di vista di semplice fattibilità. «Nel XIX secolo – ha osservato – gli operai lavoravano dodici, quattordici, sedici ore al giorno. Quando conquistarono la giornata di otto ore non collassò nulla, come invece alcuni settori avevano previsto. Allora – insisto – lavorare meno affinché più gente abbia accesso al mercato del lavoro è un aspetto che dobbiamo esplorare con una certa urgenza. Non ci possono essere tante persone che soffrono per l’eccesso di lavoro e tante altre che soffrono per la mancanza di lavoro».
A quali “persone che soffrono per l’eccesso di lavoro” si riferisse, faccio fatica a capirlo. Così come resto nel dubbio se, con la citazione «Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati» ( Mt 5,6), abbia rivolto un ideale abbraccio non solo agli indigenti sotto l’aspetto materiale – beneficiati dalla sua costante attenzione… a parole… e… con gesti sempre pubblicizzati – ma anche a chi porta sulla pelle il marchio di ingiustizie che gridano vendetta e, fra questi, non esclusivamente i…lontani… e i… feriti… da soggetti al di fuori del proprio raggio di azione…
Maria Michela Petti
17 ottobre 2021