L’affaire Rupnik sulla scacchiera della verità: Una, nessuna, centomila
Nella giornata di ieri, 27 ottobre, un Bollettino della Sala Stampa della Santa Sede ha reso nota la decisione del papa di riaprire il “caso Rupnik”, in deroga alla prescrizione, «per consentire lo svolgimento di un processo».
Decisione scaturita dalla segnalazione, nel settembre scorso, da parte della Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori [e di tutte le vittime e sopravvissuti ad ogni genere di abuso] di «gravi problemi nella gestione del caso di P. Marko Rupnik e la mancanza di vicinanza alle vittime».
«Di conseguenza – aggiunge il Comunicato – il Santo Padre ha chiesto al Dicastero per la Dottrina della Fede di esaminare il caso» essendo «fermamente convinto -conclude – che se c’è una cosa che la Chiesa deve imparare dal Sinodo è ascoltare con attenzione e compassione coloro che soffrono, soprattutto coloro che si sentono emarginati dalla Chiesa».
Orbene, quest’ultima affermazione – che, ad un paio di giorni dalla conclusione del Sinodo, suona peraltro come un, primo, suo effetto risultante, apprezzabile e da concretizzare – lascerebbe intuire che “la Chiesa” tutta, in ogni suo membro, dovrebbe una buona volta votarsi all’ ascolto “con attenzione e compassione” reali delle voci di tutti i sofferenti, anche di coloro non intercettati da un organismo di tutela ad hoc?
La stessa affermazione, intanto, a chi come me ricorda la martellante esortazione – dell’ultimo decennio di pontificato – all’ “ascolto con l’orecchio del cuore”, suona come inefficace replica di una lezione teorica, che lascia il tempo che trova.
«L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, – dicevamo lo scorso anno a un gruppo di laici – o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni». Stralcio (41) dall’ Esortazione Apostolica di Paolo VI “Evangelii Nuntiandi” (dell’8 dicembre 1975), che è una citazione dal discorso pronunciato – come lo stesso Papa ricorda – nell’ Udienza al Pontificio Consiglio per i Laici il 2 ottobre 1974.
Un altro dato del Comunicato, diffuso ieri, sul colpo di scena nella scabrosa vicenda Rupnik mi associa, inoltre, all’ interrogativo esplicitato – nel clamore massmediale esploso il giorno prima con la divulgazione della notizia della sua incardinazione nella diocesi originaria di Capodistria – su organi di stampa, ma non su quelli italiani, rimasti silenti fino alla comunicazione della svolta decisa dal papa.
Se la segnalazione che l’ha determinata – come specificato nel Bollettino – risale allo scorso settembre, pur senza precisarne la data, come mai si è lasciato passare un mese (e forse poco più) senza mettere in allerta, con tutte le cautele del caso, i guardiani del porto di approdo? Che, a babbo morto, hanno dichiarato di non aver ricevuto alcun dossier e informazione utile per una corretta valutazione della questione, smentiti invece da dichiarazioni pubbliche contrarie della loro versione, messe in circolo dalla Compagnia di Gesù nell’immediatezza della conoscenza dell’accoglienza riservata all’ex gesuita in mancanza di condanne a suo carico, come in precedenza motivata.
Come minimo…soltanto chi ignora l’esistenza di un apparato di intelligence super impegnato può credere che si ignorassero nelle sedi opportune le operazioni in atto a favore del famoso mosaicista, che ha goduto di protezione ad ampio raggio per troppi decenni.
Ora l’intricatissima vicenda torna all’esame del Dicastero per la Dottrina della Fede, retto da poco più di un mese da uno dei fedelissimi di Bergoglio: il neo-cardinale argentino Víctor Manuel (Tucho) Fernandez, esonerato – con l’irrituale Lettera pubblica del pontefice all’atto della nomina – dal trattare questioni di abusi per sua stessa dichiarata incapacità a farlo.
Torna lì dove si custodisce la chiave per dirimere la controversia sulla scomunica latae sententiae, comminata all’ex gesuita nel maggio del 2020 dall’allora Congregazione per la Dottrina della Fede, per l’assoluzione di complice nel delitto canonico contro il sesto comandamento, e misteriosamente cancellata nel giro di due settimane.
Su tale busillis, con la consueta prontezza e senza giri di parole, come in ogni altra circostanza di rilevante gravità, ha richiamato l’attenzione la redazione de “Il Sismografo”, sollecitando tra l’altro – e non per la prima volta – la cancellazione di “questa gigantesca macchia del pontificato di Papa Francesco”… “solo[con] la verità”.
«Nulla è più complicato della sincerità» spiegò il premio Nobel Luigi Pirandello ne “La realtà del sogno” (1914). Il palcoscenico ideale per maschere, testimonials del dolce sognare e sfilate di modelli dell’apparenza ammaliante.
Però, per quanto a lungo possa durare, non è purtroppo per la vita intera il sogno ad occhi aperti di chi ci si abbandona con un atteggiamento di superiorità e di sfida rispetto a tutto e a tutti e, ad un certo punto, per uno degli imprevisti non soggetti alla volontà personale, arriva il momento del triste risveglio, con cui bisogna fare i conti.
È di oggi il resoconto de “Il Sismografo” sul giorno meno bello che si trova a vivere il papa – non dissimile da quello vissuto cinque anni fa per un caso analogo al fatto di cronaca odierna riguardante Rupnik – con precisi riferimenti ad omissioni e sottovalutazioni da parte di responsabili a vario titolo delle gravi conseguenze dovute alla mancata correzione dell’errore in essere da tempo, con il contributo non irrilevante di «giornalisti “amici” che oggi applaudono» al cambio di rotta del papa.
«Hanno a che fare tutti e due – si sottolinea nel resoconto al link di seguito – con gli abusi di potere nella Chiesa e i loro inesorabili derivati: abusi di coscienza e abusi sessuali.
Vogliamo ricordare brevemente queste due giornate, separate da cinque anni, in cui a sorpresa si registrò una svolta nelle posizioni del Pontefice, nella sua condotta, specie nel suo silenzio».
Ed io non riesco ad allontanare il dubbio che la “svolta” di cui si favoleggia oggi, quanto al caso Rupnik, sia la classica mossa del Cavallo. L’ennesimo escamotage per guadagnare altro tempo utile ad “aggiustarne” la “raggione” e, in ultima analisi, la giustizia di trilussiana memoria.
Chi vivrà, vedrà.
https://ilsismografo.blogspot.com/2023/10/vaticano-le-due-zampate-fraterne-del.html
Maria Michela Petti
28 ottobre 2023
Sprazzi di verità che illuminano una situazione in totale confusione.
Facendo tirare un respiro di sollievo nel constatare che, in qualche Paese – grazie a Dio – ci sono organismi istituzionali, ecclesiali e civili, che fanno sentire la loro voce, forte e chiara, in momenti cruciali e per il bene morale della collettività.
Ciò richiede quel coraggio, che non può darsi chi non ce l’ha…
Due le prese di posizione, coraggiose e incoraggianti, non trascurabili nel pandemonio che ci circonda.
L’ Agenzia SIR, nella giornata di ieri 28 ottobre, ha divulgato la nota della Conferenza episcopale slovena (Ces) relativa alla dichiarazione del presidente, mons. Andrej Saje, con la quale precisa la netta presa di distanza dall’incardinazione di Rupnik nella diocesi di Capodistria, ribadendo la risposta di estraneità a “questo gesto ritenuto almeno inopportuno” dal governo del Paese che aveva inoltrato alle autorità episcopali richiesta di spiegazioni in merito. Intervento di cui aveva informato “Il Sismografo” giovedì scorso, 26 ottobre.
«La Conferenza episcopale slovena (Ces) – puntualizza mons. Saje – non ha partecipato al processo di incardinazione di Rupnik nella diocesi di Capodistria. Ogni vescovo è autonomo e indipendente in questa materia e non è quindi obbligato a informare la Ces».
Con il chiarimento che «dopo che i superiori dei gesuiti hanno confermato l’attendibilità dei vari abusi, il Csc ha preso posizione sul caso Rupnik già il 21 dicembre 2022», il presule rinnova la validità e l’adesione al«l’impegno della Chiesa per una maggiore trasparenza e una tolleranza zero nei confronti della violenza fisica, sessuale, psicologica e spirituale – aggiungendo – Noi vescovi siamo dalla parte delle vittime, perché esse siano ascoltate e perché sia fatta giustizia. Vigileremo su quanto accade nelle nostre comunità ecclesiali, affinché in futuro non si verifichino più abusi di autorità da parte di coloro che hanno un ruolo di leadership nella Chiesa. In questo contesto, sono in corso i preparativi per la creazione di una nuova struttura di assistenza e prevenzione. La conoscenza delle dolorosissime scoperte – conclude mons. Saje – dovrebbe essere un’opportunità per la purificazione e il rinnovamento della Chiesa».
Riferendo delle “forti critiche” espresse – a seguito della diffusione della notizia sull’ incardinazione di Rupnik nella diocesi originaria – dal Ministero del Lavoro, della Famiglia, degli Affari Sociali e delle Pari Opportunità, e riportate dai media locali, “Il Sismografo” aveva anche ricordato (giovedì scorso) che all’ex gesuita «In passato il governo sloveno ha tolto tutte le onorificenze» che gli erano state conferite.