Il Natale della pandemia
Tutto quello che so del Natale che verrà è che non so se sarà “come comanda Iddio”. Non so nemmeno se quelli passati siano stati vissuti proprio come Dio avrebbe comandato e non secondo quella certa idea di un giorno speciale, rispetto ad un regime di supposta “normalità”, di cui ora mi sfugge completamente il senso, dopo aver cercato per anni di stabilirla scansando cose visibili e incorporee al limite dell’assurdo, e di mantenermi in equilibrio in condizioni di instabilità permanente.
Tutto quello che so del Natale di quest’anno è che non sarà “con i tuoi” e nemmeno con “chi vuoi”, per la stragrande maggioranza – se non per la totalità – della gente del mio Paese, che ha sempre aspettato le festività natalizie accorciando il tempo dell’attesa nella preparazione di tutto ciò che avrebbe liberato queste giornate dalla solita routine e pregustando la gioia del ricongiungimento con parenti ed amici, quelli “veri”, che ti aiutano a separarti, poi di nuovo, portandoti dietro il bagaglio di affetti ravvivati e di ricordi che rendono meno struggente la lontananza e la solitudine in contesti non familiari.
Tutto quello che so di questo ormai prossimo Natale, il Natale al tempo del Covid, è che qualche politico lo ha annullato – con improvvide dichiarazioni – insieme al Capodanno, come se la politica ora potesse persino cancellare dei giorni dal calendario, dopo aver stravolto le abitudini e le usanze cittadine. Qualche altro ha invitato cervelli in fuga, studenti e conterranei in autoesilio per agguantare una condizione di vita più soddisfacente, a restare nelle residenze elettive ed evitare ricongiungimenti e ritorni nei luoghi del cuore, come se il virus fosse uno degli effetti personali di cui non si può fare a meno nel tragitto andata e ritorno, un regalo natalizio da portare in dono ai propri cari o da questi ricevuto come strenna beneaugurante per il rientro in città dove si stenta a sentirsi di casa.
Come se della gravità della situazione non fossero sufficientemente consapevoli genitori e figli, legati da un rapporto di amore che presuppone un forte senso di responsabilità circa il bene reciproco. Ad eccezione, ovviamente, per quei casi disgraziati di relazioni malate, a causa di problemi che investono la sfera di interesse giuridico e psichiatrico, prima che sociale. E responsabilmente, quindi, anche se non a cuor leggero, si sarebbe arrivati a scelte dolorose, volontariamente, senza l’intervento di un “organo” terzo, estraneo, a pesare sull’intimità familiare con misure drastiche e divieti, con un prezzo troppo alto da pagare al sacrificio imposto con un tasso di insensibilità verbale da sfiorare la sensazione di crudeltà.
Che differenza di stile rispetto alla cancelliera tedesca Merkel, costretta ad analoghe decisioni perché «ce lo chiede la scienza» ha confessato in lacrime motivandole prendendo «il cuore in mano» dinanzi al numero considerevole e inaccettabile di morti; stanno andando via i nostri nonni – ha osservato – e forse un giorno ci chiederemo se non avessimo commesso degli errori. Quanta umanità in un personaggio politico influente in sommo grado – indipendentemente dal giudizio nel merito – sulla scena mondiale! Una donna in qualche circostanza – come nella risposta ad una ragazza extra comunitaria richiedente la cittadinanza, qualche anno fa – apparsa distaccata e fredda, persino irremovibile su questioni riguardanti la comunità europea. Eppure, in questo frangente, ha rivelato una pietas che è mancata ai politici nostrani. Anche i “grandi” – alcuni, non tutti, purtroppo! – hanno un cuore che talvolta riserva qualche “sorpresa”, un gesto, un pianto che commuove e rende meno amara la pillola da mandare giù!
Sarà, questo del Covid, un Natale “speciale”, ma non nel senso che abbiamo attribuito con questo aggettivo a quello degli anni passati, quando si respirava un’ atmosfera di festa ricreata nel ricordo di tradizioni e usanze da rispettare che contribuiva ad alleggerire il cuore dagli affanni e faceva rivivere il Natale degli anni più belli della vita, quello dei preparativi organizzati secondo lo schema che prevedeva il coinvolgimento di tutti i membri della famiglia, a partire dai primi giorni di dicembre, cercando di conciliarli con i compiti abituali. E nell’attesa si pregustava la gioia del giorno che si sarebbe vissuto come nel tempo rimasto impresso nella mente e nel cuore che tornava bambino.
La gioia del Natale che appagava l’animo e i sensi. Con il profumo dei dolci fatti in casa, cui si mescolava quello del muschio del presepe che si andava allestendo e che a casa mia troneggiava lungo tutta una parete di una stanza ed era curato fin nei minimi dettagli artigianali da papà nei panni di regista e primo, insostituibile, collaboratore Con i colori del vischio e del pungitopo, della carta stellata e carta-roccia, delle statuine e delle luci per il presepe, cui col tempo si aggiunsero quelli delle decorazioni di un abete non eccessivamente ingombrante per i limiti dell’alloggio. Con il suono melodioso degli zampognari che si diffondeva per le strade e i vicoli del mio paese ed allietava le case dove erano presenti dei bambini.
Altri tempi, altre usanze rispetto a quelli della grande città, dove è scarseggiato – per non dire: mancato – quel vincolo di amicizia fra condomini che nei giorni di festa, più che negli altri, faceva veramente godere per la celebrazione del mistero della nascita dell’Emanuele, il Dio con noi. Di quel Bambino che ci riuniva in un abbraccio fraterno accanto al Presepe.
Abbraccio. È quello che ci mancherà in questo Natale 2020. Non solo non potremo riabbracciare familiari e congiunti residenti in città diverse dalla nostra, ma le nostre abitazioni saranno off limits anche per i non conviventi. Sarà il Natale della pandemia da isolamento, da estraniamento da rapporti che si nutrono di affetti e che perciò stesso li nutrono. Una violenza ai sentimenti.
Il Presepe, simbolo per eccellenza del Natale. Sì, nelle famiglie si farà, specie lì dove sono dei bambini. Si farà nelle chiese; ma quanti si recheranno a visitarlo stante le limitazioni e i divieti? E che delusione certe riproduzioni che hanno tradito la riproposizione della “classica” rappresentazione del mistero dell’Incarnazione! E quella distorta attenzione alla prolungata crisi sanitaria che ha indotto ad applicare la “mascherina”, il dispositivo di protezione dal virus, anche ai personaggi del Presepe! A ben riflettere, forse, senza rendersene conto – con questa trovata, davvero geniale? – si è lanciato il subliminale messaggio di non contaminare figure celestiali con i virus che hanno contagiato la spiritualità dell’uomo. E le restrizioni imposte, la vicinanza virtuale ai propri cari farà sperimentare il gelo che accompagnò la nascita del Bambino e avvicinerà idealmente alla solitudine e alla sofferenza dei parenti delle vittime del coronavirus e di quanti sono impegnati in prima linea nella lotta a questo flagello, costretti a turni di lavoro massacranti anche nei giorni festivi.
La riduzione all’essenzialità che ha comportato questo “ospite” invisibile e non gradito, portatore di dolore e miseria che si aggiunge a miseria pregressa, ci porta inevitabilmente alla riscoperta del cuore del Natale, delle culle che accoglieranno il Bambino in ogni “grotta” che nasconde lacrime per la perdita di una vita e speranze di guarigione per chi lotta contro la morte.
L’unica certezza di questo Natale, sospeso fra precarietà e speranza, è che il Bambino ri-nascerà nei cuori di chi sarà pronto ad accoglierLo con l’atteggiamento degli umili pastori, che corsero a adorarLo in una grotta fredda e disadorna, che fu la culla dell’Amore abbassatosi ad abbracciare l’uomo nella sua piccolezza e nella sua povertà. Una grotta che, in quei primi attimi di vita terrena del Dio fattosi uomo, non vide il cuore dei “grandi” di questo mondo aprirsi al Mistero. Solo i Magi vi si recarono poi, perché riuscirono a intravedere e seguire la Stella. Ma la “massa” ne restò lontano.
Il Natale di questo 2020, che sarà archiviato con tanti altri ricordi indelebilmente spiacevoli, per come si prospetta, mi sembra riproduca esattamente quella scena, più che nel passato, quando per l’assenza di un intruso che ha sconvolto oggi le nostre esistenze anche il rito della Notte Santa si ripeteva in un’essenzialità che, forse, non veniva colta e rispettata nella sua autenticità.
Maria Michela Petti
16 dicembre 2020