Cacciata non scaccia cacciata.Non come il chiodo dall’uso figurato
In Adamo ed Eva… tutti fummo cacciati. Eppure, fa comodo non ricordarlo in forza del Sacrificio in Croce, che sembra averci inchiodati alla certezza del riscatto quasi per atto dovuto, dopo la cacciata dall’Eden, senza alcun rapporto di reciprocità e riconoscenza. Immemori del dono ricevuto gratuitamente ed accompagnato, però, dal monito a dare altrettanto gratuitamente (cfr. Mt 10,8).
Questo pensiero si è imposto prepotentemente nella mia mente, leggendo dell’epilogo ufficializzato la scorsa settimana circa il futuro di S. Ecc. Mons. Georg Gänswein, segretario personale di Benedetto XVI fino alla sua scomparsa il 31 dicembre dell’anno scorso, e ancor prima dell’elezione al Soglio pontificio per nove anni del card. Ratzinger, Prefetto dell’allora Congregazione per la Dottrina della Fede.
Don Georg, per mesi protagonista di “storie” giornalistiche secondo lo schema di routine degli ultimi tempi – e che evito di riproporre, seppure per sommi capi – dal prossimo 1° luglio sarà di ritorno nella diocesi di Friburgo, dove fu incardinato, senza alcun incarico. Elemento dell’informazione, quest’ultimo, enfatizzato dalla stampa. “Per il momento”, è stato precisato in una Nota di due righe, diffusa dalla Sala Stampa vaticana il 15 giugno scorso, con la quale è stato reso noto anche che il suo ruolo di Prefetto della Casa Pontificia era giunto a compimento formale il 28 febbraio scorso. Funzione, in realtà, dalla quale era stato esonerato dal 2020 perché si occupasse soltanto dell’assistenza al Papa Emerito, compito che già svolgeva fin dal giorno della storica “rinuncia” del 2013.
“Cacciato”. È la parola “strillata” a partire da non pochi titoli di cronache cartacee e digitali.
Parola tristemente ricorrente in vicende circondate da ambiguità e falsità che hanno fatto notizia e suscitato clamore mediatico, durante il pontificato corrente, a ritmo intermittente e sorprendente.
In alternativa a soluzioni – estremamente indulgenti – di fatti emersi con un certo indice di gravità e tuttavia abbuonati, in un clima di omertà e complicità.
Per situazioni del genere calza a pennello il detto napoletano, cui si fa ricorso soprattutto nella regione d’origine: “Fatte ‘na bbona annummenata e po’ va’scassann chiesie”. Nella traduzione, per chi non mastica questo dialetto: “Fatti un buon nome e poi puoi andare anche a scassinare le chiese”. Con il chiaro riferimento allo scudo della “buona” nomea che assicura al beneficiario l’impunità, anche qualora dovesse compiere azioni spregevoli, fra le quali il citato saccheggio di chiese.
Lapalissiano che: la “buona fama” si conquista il più delle volte con la compiacenza di amici degli amici che contano e, una volta entrati nella loro simpatia e nelle loro “grazie”, chi proverebbe mai ad offuscare la reputazione di protetti da protettori di tal calibro, che oltre tutto dispongono immancabilmente dei “buoni servigi” di operatori dell’informazione? Gli stessi che, per interessi personali o sia pure raramente inconsapevolmente strumentalizzati, prestano le armi del proprio mestiere alla cinica distruzione del buon nome di esseri umani fatti bersagli di tiri mancini.
Non sarebbe difficile immaginare il potenziale esplosivo di intrighi e maldicenze alla base di oscuri progetti, se solo si avessero occhi per vedere ed orecchi per sentire… Senza scomodare tali organi di senso immaginifici che per abitudine instaurata ai giorni nostri si attribuiscono ad un cuore che, alla luce dei fatti, risulta essere infartuato…
“Cacciato”. Per me/noi un dato di fatto. Che, pertanto, al solo sentir pronunciare o leggere tale parola mi/ci riporta ad un giorno, ad una decisione che ha terremotato le nostre vite.
Vero è che ci sono stati, prima e dopo, altri “casi”. Attraversati dallo stesso filo rosso: la “cacciata”. Ma: ogni storia fa storia a sé.
Ad ogni modo, per quel po’ che se n’è saputo, restiamo “sospesi” in tanti nel medesimo sciagurato contesto. E, presumibilmente, stando ai “tristi lai”, se pur impercettibili per inconfessati e/o inconfessabili motivi, “sanza speme vivemo in disio” (“Inferno”, Canto IV, 42) di aver alleggerita la pena del danno, in virtù della fede professata, chiedendoci se mai usciremo “a riveder le stelle”.
Anche se crollano castelli di menzogne e «Accadono cose che sono come domande. Passa un minuto, oppure anni, e poi la vita risponde» (Alessandro Baricco, “Castelli di rabbia”), l’unica porta invalicabile – al di là di ogni retorica spudorata – resta quella che ha sprangato la verità. La stessa, inconfutabile, che consacra l’inesistenza su questa terra di un qualche “paradiso”, nel quale chicchessia possa disporre a proprio piacimento di tutto e di tutti, e persino della vita di una persona, come fosse “cosa” propria, fino al punto di deciderne la “cacciata”, come da un dominio ritenuto di pertinenza personale.
Su questa terra siamo tutti “migranti”. In viaggio di ritorno verso quella dimora dalla quale i nostri progenitori (e noi in loro) furono cacciati per un atto di disobbedienza al Creatore e di vassallaggio al principe di questo mondo: il principe della menzogna…appunto.
Maria Michela Petti
18 giugno 2023
Per un problema tecnico, non è stato possibile pubblicare prima il seguente commento che avevo provato a postare fin dalla serata del 1° luglio scorso. Lo faccio oggi, perché ritengo interessanti le segnalazioni inserite. In costanza, peraltro, di speculazioni giornalistiche.
Ricevuto l’ordine, in esecuzione, mons. Gänswein ha dichiarato: «taccio ed obbedisco». Ma ciò non è bastato a far cessare le speculazioni giornalistiche.
Alla data fatidica (1° luglio, oggi) non è ancora di ritorno – obbligato! – nella sua diocesi d’origine: Friburgo. Ed ecco che le “sentinelle” – coralmente, come fossero state chiamate a rispondere ad una domanda biblica (“Sentinella, a che punto è la notte?” – Is 21,1) – prontamente hanno intessuto storielle pruriginose su un presunto “sgarbo”, che non c’è e non ha ragione d’essere.
Semplicemente: l’arcivescovo tedesco si è fermato a Bregenz, sulla costa del Lago di Costanza, al confine austriaco con la Germania, a 190 km da Friburgo, per l’ordinazione sacerdotale di un diacono, come da programma noto dal 25 maggio scorso e, doverosamente, segnalato in un Post di oggi dal blog “Borgo Pio” del”La Nuova Bussola Quotidiana”.
https://www.opera-fso.org/blog-1-1/ordinazione-sacerdotale
Approfittando della circostanza, mons. Gänswein ha deciso di far slittare di qualche giorno (all’inizio della settimana prossima) il rientro “a casa” e prendersi qualche giorno di riposo.
È – o no – un suo diritto? Almeno questo… come di tutti i comuni mortali… specie se dopo mesi e mesi di stress accumulato…
Che fretta avrebbe avuto, inoltre, di arrivare, nel giorno stabilito dal papa, in un luogo dove non ha alcun obbligo pastorale da ottemperare?
Per di più: a norma di Codice di Diritto Canonico (Can 395 §1 CJC) il sito “Silere non possum”, il 2 giugno scorso, evidenziava dettagliatamente che il pontefice avrebbe potuto anche chiedere a don Georg «di non risiedere nello Stato della Città del Vaticano, ma costui potrà scegliere di porre la propria dimora dove crederà più giusto, a meno che non venga destinato ad un incarico che gli impone la residenza in un determinato luogo».
https://silerenonpossum.com/georg-ganswein-notizie-futuro-incarico/
Per inciso: anche in qualche altro articolo giornalistico, risalente al 15 giugno scorso, quando la Sala Stampa vaticana diffuse la striminzita Nota riguardante la destinazione dell’ex segretario personale di Papa Ratzinger, si era fatto cenno alla mancanza di condizioni contrarie alla sua libertà di scelta.
Sarebbe opportuno che la stampa “amica”… per meglio dire: cortigiana… recitasse – adattandola, prima di scrivere – la preghiera: «Signore, poni una guardia davanti alla mia bocca, sorveglia l’uscio delle mie labbra». (Sal 141,3)
E, non aggiungo altro.