Sullo Stato di diritto. Quante belle parole!
«Lo Stato di diritto è al servizio della persona umana e mira a tutelarne la dignità, e ciò non ammette alcuna eccezione. È un principio».
Lo ha affermato il papa ieri (21 agosto 2023) nel discorso rivolto ad una delegazione di avvocati di Paesi membri del Consiglio d’Europa, firmatari dell’Appello di Vienna sottoscritto l’11 giugno 2022, proprio a tutela dello Stato di diritto. Perché, come da intento dichiarato in tale risoluzione, “non sia fatto mai oggetto della minima eccezione, anche in tempo di crisi”, quale quello attuale che attraversa il Vecchio Continente per la serie di contingenze note, che potrebbero indurre a deliberazioni «facili e immediate» tali da alterarne o limitarne la gestione autentica.
Al ringraziamento per l’impegno assunto «a favore dell’indipendenza della giustizia» e per il contributo importante nella «promozione della democrazia e del rispetto della libertà e della dignità umana», è seguita l’obiettiva constatazione di Bergoglio che: «Non sono tuttavia solo le crisi a originare minacce contro le libertà e lo Stato di diritto in seno alle democrazie. In effetti, una concezione erronea della natura umana e della persona umana si diffonde sempre più, una concezione che ne indebolisce la protezione stessa e che apre a poco a poco a gravi abusi sotto apparenza di bene.
Occorre ricordare – ha aggiunto – che il fondamento della dignità della persona umana risiede nella sua origine trascendente, che vieta, di conseguenza, ogni violazione; e tale trascendenza esige che, in ogni attività umana, la persona sia messa al centro e non si ritrovi in balia delle mode e dei poteri del momento».
Parole d’oro! Che, però, alla luce del sole, svelano l’inganno del metallo contraffatto.
Fatto salvo il diritto di parola, che non si nega a nessuno, la realtà dei fatti rimanda, purtroppo, a quel verso della nota canzone citato in qualche occasione dallo stesso pontefice: Parole, parole, parole! Soltanto parole…
Infatti, le cronache, tutt’altro che sporadiche, relative al suo pontificato squadernano l’esatto contrario della generica (e non per la prima volta!) condanna di ogni genere di abuso e dell’inadempienza del richiamo – sterile – al rispetto della dignità della persona umana.
Nello specifico: mi riferisco a quel numero non insignificante di persone che, sfortunatamente, si sono trovate per ragioni lavorative nel posto “sbagliato”, ma soprattutto “nel momento sbagliato”… per i chiari di luna dei tempi recenti.
Non mi sorprende ormai più il “dire e non fare” – peraltro bollato dall’unico Maestro infallibile (cfr. Mt 23,1-12) – ma mi procura un malessere difficile da descrivere la spudorata perseveranza nella contraddizione e nell’ambiguità, diventata stile di vita. Che, non solo conferma la persistenza di quella trave nell’occhio – sempre di evangelica memoria – e, per riflesso pavloviano, la supponente moralizzazione di portatori di pagliuzze. Ma che, per di più, comporta la conseguente perdita di credibilità, i cui segnali sono fin troppo facilmente leggibili ad un’attenta osservazione dello stato attuale delle cose. In tutti i suoi aspetti.
In sostanza: “il principio” ribadito ieri dal papa a proposito del “servizio” alla persona e a tutela della sua dignità, che «non ammette alcuna eccezione», è un concetto astratto o cardine di un’azione di governo rispettosa dei diritti fondamentali della medesima persona? Delle due l’una. E l’esclusione di “alcuna eccezione” non invalida “il principio”, contrariamente al vecchio adagio che chiama in causa l’eccezione a conferma della regola.
Quale antidoto al “relativismo etico”, nel corso dell’udienza ai membri della Commissione Teologica Internazionale, il 5 ottobre 2008, Benedetto XVI avvertì che, quando sono in gioco i diritti inalienabili della persona, «nessuna legge fatta dagli uomini può sovvertire la norma scritta dal Creatore nel cuore dell’uomo, senza che la società stessa venga drammaticamente colpita in ciò che costituisce la sua base irrinunciabile».
A sua volta il Beccaria nel celebre saggio “Dei delitti e delle pene” (al Cap. 41, “Come si prevengano i delitti”) metteva in guardia dal rischio di emanare leggi a favore di “classi di uomini” piuttosto che degli “uomini stessi” e tali da suscitare il timore “di uomo a uomo” e non delle leggi, che invece è salutare.
«Se l’incertezza delle leggi – puntualizza il giurista, educato alla scuola dei gesuiti di Pavia – cade su una nazione indolente per clima, ella mantiene ed aumenta la di lei indolenza e stupidità…Se cade su una nazione coraggiosa e forte, l’incertezza vien tolta alla fine, formando prima molte oscillazioni dalla libertà alla schiavitù e dalla schiavitù alla libertà».
Maria Michela Petti
22 agosto 2023