Quando non basta la parola
Agli italiani cresciuti con Carosello, che per i più piccoli – per venti anni a partire dal 1957 – ha segnato l’ora della “buonanotte”, bastava “la parola”. Il nome del notissimo confetto farmaceutico reclamizzato, consigliato per sbarazzarsi di uno sgradevole disturbo intestinale.
Mi pare di percepire lo stesso ritornello in incitamenti ed esortazioni, ripetuti con zelo maniacale, al fine di instaurare – finalmente – la società del “volemose bene”, che nel linguaggio del romano doc sta per una conclusione sbrigativa e all’apparenza bonaria di una faccenda urticante.
La chiusura sdolcinata lascia ben intuire l’abitudine al ricorso a frasi mielose per disegnare il paese delle meraviglie, che non c’è – il paese del “sogno” vagheggiato a getto continuo – agli occhi di sognatori per forza di cose, frustrati dalla mancanza di tutti quei gesti, prescritti a mo’ di terapia efficace, ma troppo spesso non praticati proprio da chi se ne fa alfiere e propugnatore.
«Ma allora – disse Alice – se il mondo non ha assolutamente alcun senso, chi ci impedisce di inventarne uno.
Il segreto, cara Alice, è circondarsi di persone che ti facciano sorridere il cuore. È allora, solo allora, che troverai il Paese delle Meraviglie». (Il Cappellaio Matto)
E qui casca l’asino. Perché un conto è il facile consiglio, un altro la cruda realtà.
Un mondo dove, quando meno te lo aspetti, e a causa di persone insospettabili, non solo si spegne il sorriso del cuore, ma si spegne persino la luce del sole. E gli occhi non riescono più ad intravedere l’orizzonte della propria vita, stravolta da un colpo del genio del male.
Il tutto, purtroppo non di rado, ad opera di quelle stesse persone di cui ci si è circondati, fidando e confidando in un rapporto a dir poco “di normale amministrazione”, ipotizzato a prova di fedeltà, in base ad alcuni presupposti di una certa consistenza, convalidati dall’immagine di sé rassicurante che simili soggetti riescono ad accreditare. Per meglio dire: a vendere…
E: quanto suona indelicata, per usare un eufemismo, la riproposizione dell’antidoto della “tenerezza”! in costanza di trascuratezza nei riguardi di creature offese, proprio da chi si erge a paladino di tale valore aggiunto ad un insieme di pressanti suggerimenti erga omnes.
Un mantra… “la cui efficacia – puntualizza il Dizionario online Treccani – non dipende dalla partecipazione interiore del soggetto che la pronuncia”.
E dovremmo far finta di credere che basti la parola di chi la pronuncia per coinvolgere gli ammaestrati nella concretizzazione di quell’opera di misericordia corporale che recita: consolare gli afflitti, indipendentemente dalla testimonianza personale… e non selettiva… del “maestro”?
Per finirla, con il “principe della risata”: «Ma mi faccia il piacere!»
Maria Michela Petti
20 febbraio 2023