Peccati à la carte
C’era una volta il Decalogo e c’è ancora nella Tradizione della Chiesa che “fedele alla Scrittura e in conformità all’esempio di Gesù” gli riconosce “un’importanza e un significato fondamentali”. Così il Catechismo della Chiesa Cattolica sintetizza uno dei capisaldi della dottrina (2078) incentrato sulle “dieci parole” o “comandamenti” che costituiscono “un’unità organica” tale che la trasgressione di un solo comandamento comporta l’infrazione di “tutta la Legge” (2079).
Decalogo come è stato insegnato nella sua integrità preservata (formalmente) fino a questo nostro tempo bugiardo in cui ha preso a soffiare una brezza sottile che, allettando cuori ed animi fiaccati dalle fatiche quotidiane, indirizza verso “cammini” bene-detti da messaggi riadattati alla bisogna.
Introdotto il “diritto al perdono di tutti”, con il teorema – indimostrabile – di un Dio misericordioso che “perdona tutto e tutti”, anche i peccati canonici sono passati ad essere re-interpretati liberamente, non senza mosse di accentuata arbitrarietà, balzate agli onori della cronaca ed ivi rimaste…a futura memoria… senza smuovere acque stagnanti. Mentre si procede a colpi di ‘novità’.
DALLE TAVOLE DEL SINAI AL PDF CON I PECCATI DI NUOVO CONIO:
- peccato contro la pace
- peccato contro il creato, contro le popolazioni indigene, contro i migranti,
- peccato degli abusi
- peccato contro le donne, la famiglia, i giovani
- peccato della dottrina usata come pietre da scagliare contro
- peccato contro la povertà
- Peccato contro la sinodalità / mancanza dell’ascolto, comunione e partecipazione di tutti
Che saranno confessati, durante una celebrazione penitenziale fissata per serata del 1° ottobre prossimo – vigilia dell’apertura della seconda sessione della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (2-27 ottobre) – con la successiva richiesta “di perdono a Dio e alle sorelle e i fratelli di tutta l’umanità”, che sarà recitata dal papa “a nome di tutti i fedeli”.
Il rito, che si svolgerà nella Basilica di San Pietro, organizzato congiuntamente dalla Segreteria Generale del Sinodo e dalla Diocesi di Roma, “vuole disporre i lavori sinodali verso l’inizio di un nuovo modo di essere Chiesa”, si legge nel comunicato pubblicato ieri, 16 settembre 2024, al termine di una conferenza-stampa convocata per illustrare, con il programma dell’Assise, anche le finalità e la modalità di svolgimento di questa iniziativa, che contempla la chiamata “per nome” dei peccati di nuovo conio, sopra riportati ed elencati nel PDF (al link di seguito).
La celebrazione prevede l’ascolto “di tre testimonianze di persone che hanno subito il peccato: il peccato degli abusi; il peccato della guerra; il peccato dell’indifferenza di fronte al dramma presente nel fenomeno crescente di tutte le migrazioni”. Quindi si passerà alla “confessione di alcuni peccati”, che non è da intendersi come denuncia di peccati “degli altri”, “ma di riconoscersi parte di chi per omissione o azione diventa causa di sofferenza, responsabile del male patito da innocenti e indifesi. Chi esprimerà la richiesta di perdono lo farà a nome di tutti i battezzati”.
E io, che sono della “vecchia scuola”, sono andata a rileggermi il CCC (1482 e 1483) per trovare conferma alle mie “memorie” …datate sì, ma pur sempre in corso di validità. Infatti: “il sacramento della penitenza – si stabilisce – può anche aver luogo nel quadro di una celebrazione comunitaria, nella quale ci si prepara insieme alla confessione e insieme si rende grazie per il perdono ricevuto”. Ma – si precisa, dettagliandone le circostanze – solo “In casi di grave necessità si può ricorrere alla celebrazione comunitaria della Riconciliazione con confessione generale e assoluzione generale”. E, comunque, eccettuato il non scampato pericolo di morte, perché “sia valida l’assoluzione” ricevuta durante questa celebrazione comunitaria si richiede “il proposito di confessare individualmente i propri peccati gravi a tempo debito”.
QUEL “PECCATO GRAVISSIMO” … DIMENTICATO
In fatto di peccati “all’impronta”: conservo memoria vivida di quello definito da Bergoglio “gravissimo”, coniato al termine dell’udienza generale del 15 marzo 2017 (anno memorabile per noi!) nel rivolgere un pensiero speciale ad un gruppo di lavoratori allora esposti al rischio di licenziamento e di spostamento ad altra sede lavorativa.
«Il lavoro ci dà dignità, e i responsabili dei popoli, i dirigenti hanno l’obbligo di fare di tutto perché ogni uomo e ogni donna possano lavorare e così avere la fronte alta, guardare in faccia gli altri, con dignità».
Monito di rito, su cui continua a battere e ribattere. Cui seguì quello che ex post può, dal mio punto di vista, definirsi lapsus freudiano.
«CHI per manovre economiche, per fare negoziati non del tutto chiari, chiude fabbriche, chiude imprese lavorative e TOGLIE IL LAVORO AGLI UOMINI – tuonò (una tantum!) il papa – COMPIE UN PECCATO GRAVISSIMO».
Dalle mie parti si usa dire: Passò l’Angelo e disse “Amen”, quando si realizzano all’improvviso fatti prospettati senza soppesare le parole in relazione a realtà oggettive.
Pochissimi giorni dopo quello dell’affermazione altisonante, esattamente il 27 marzo 2017 fu proprio lui, il papa, a togliere il lavoro ad Eugenio Hasler, pronunciando in quel di Santa Marta una condanna mai formalizzata e per motivi mai chiariti.
Una “cacciata” che resterà “unica” nella storia di questo pontificato che, al capitolo: lavoro e diritti dei lavoratori, non manca di riservare notizie di rilevanza sorprendente. Come quelle che si rincorrono da mesi su organi di stampa che riescono a mantenersi liberi da condizionamenti ed hanno fornito informazioni sul clima che resta infuocato, come non mai, nel settore lavorativo del Vaticano in attesa di un cambio-verso che riesca ad allontanare in prima istanza la minaccia di uno sciopero, mai finora messo in atto fra le Sacre Mura.
Maria Michela Petti
17 settembre 2024