Ombre cinesi: ogni spazio val bene lo spettacolo
Succede – è successo – che, quando ormai si è accantonata una speranza a lungo accarezzata, e svilita a sogno irrealizzabile dal tempo che scorre inesorabile e insensibile alle attese dell’animo umano, un giorno si levi – si sia levata – una voce che, forte del grande prestigio legato alla carica ricoperta, pronunci parole impegnative riguardo a temi e progetti colpevolmente inosservati fino ad un attimo prima. Risvegliando la speranza repressa con promesse solenni e reiterate di dare un taglio agli errori di un passato da azzerare ed inaugurare la stagione della “trasparenza” in ogni atto di governo, e della “tolleranza zero” riguardo a questioni spinose e molto, molto, dolorose.
Insopprimibile il bisogno di ancorarsi all’ultima spiaggia, avvertita come esaudimento di preghiere incessanti. E, date le premesse dall’apparenza oggettivamente positive e orientate all’ottimismo, mai e poi mai soprattutto i soggetti in attesa di un cambiamento nel processo vitale si lascerebbero sfiorare dal sospetto di ritrovarsi irretiti dallo strumento di un pifferaio di Hamelin sotto mentite spoglie.
Purtroppo, succede. È successo. Non il risveglio da quello che non si era voluto credere fosse solo un invito a sognare, la narrazione di un sogno ad occhi aperti. Ma l’amara presa d’atto di un ingannevole spettacolo andato in scena, per anni, senza intervalli, sul palcoscenico ambientale.
Mesi dopo mesi trascorsi assistendo al teatrino delle ombre cinesi allestito sotto gli occhi di persone che, senza spostarsi dagli spazi della propria vita, si son visti proiettare in successione ininterrotta e impressionante eventi sorprendenti. Che – per quanti stratagemmi fossero stati tentati per tenersene a distanza di sicurezza – con la potenza delle onde mediatiche, hanno invaso la quotidianità anche di chi, semplicemente per non voltare le spalle alla conoscenza della realtà (giacché “fatti non” fummo “a viver come bruti”), non ha potuto e voluto astrarsi da dati di fatto, che a poco a poco – per fortuna; per uno degli imprevisti non assoggettati a qualsivoglia volontà arbitraria! – si sono, infine, svuotati della loro dissimulata inconsistenza.
Alludo a ciò di cui, anche se parzialmente (per quella cautela goffamente addotta a giustificazione di una improbabile salvaguardia del bene superiore) sta emergendo con una certa, innegabile per quanto circoscritta, evidenza sotto il cielo del mondo ecclesiale.
Evidenza che pesa come un macigno sulla sbandierata “trasparenza”, mai effettivamente andata oltre la propaganda, mai approdata a comportamenti e ad una comunicazione, chiari ed inequivocabili.
Non è su questa evidenza, su cui si concentrano gli sforzi interessati di chi tende a spingerla sempre più in là, che intendo soffermarmi. Per ovvi motivi e per un minimo del rispetto dovuto ad un’istituzione, che fu e non è più la stessa, perché stravolta da un processo in atto, di cui non riesco a riconoscere la bontà, e da un modus operandi che ne ha stravolto la gestione.
Ma sul perdurante spettacolo delle ombre cinesi, temporaneamente sospeso per un improvviso black-out. Che non si vuol mai mettere in conto; a dispetto della forza della verità che non può essere repressa all’infinito: «… Guardatevi dal lievito dei farisei, che è l’ipocrisia. Non c’è nulla di nascosto che non sarà svelato, né di segreto che non sarà conosciuto» (Lc 12, 1-2). E che, pur avendo lasciato la platea incredula davanti ad uno schermo di cui il buio, calato inaspettatamente, non lascia vedere nemmeno il bianco sul quale si è soliti lasciar scorrere scene e immagini senza volto realizzate da attori che intrallazzano dietro le quinte, manipolando le coscienze di spettatori sprovveduti e l’opinione pubblica disarmata.
Buio che dilata a dismisura la mancata trasparenza e il silenzio che avvolge la vacuità di slogan lanciati e rilanciati, come palloncini, nell’immensità del creato.
E: è giocoforza immaginare che, presto, come d’abitudine, lo spettacolo ricomincerà. A meno di un miracolo difficile da aspettarsi con l’aria stagnante che si respira.
Dopo questa parentesi come parte episodica del medesimo spettacolo, secondo la sceneggiatura di ferro premiata dal pubblico, grazie anche al supporto determinante da parte della maggior parte degli organi di informazione, che ha decretato il successo dell’opera rappresentata e della compagnia dei teatranti.
Rientra nel medesimo disegno lo sfruttamento dei momenti, più o meno brevi, della sospensione della recita per affidare alla damnatio memoriae la/le “evidenza/evidenze”, che emerge/emergono malgrado le astuzie dei “figli delle tenebre”.
«I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce». (Lc 16,8)
“Loro pari” che, troppo spesso, finiscono avviluppati nella rete di intrighi e manovre spregiudicate, architettati al di là del muro invisibile e imbattibile eretto a difesa degli attori che inscenano le ombre cinesi. Vittime di cui ci si dimentica, senza provare un minimo di vergogna, contando sul tempo che passa e facilita con il silenzio e l’omertà la cancellazione dalla memoria dell’opinione pubblica – cui pure sono state date in pasto senza un benché minimo riguardo – di ogni traccia delle vicende in cui sono rimaste coinvolte, non senza colpe più o meno note e/o deducibili da alcuni indizi che, se almeno in numero di tre, fanno una prova. Come recita il noto proverbio.
Vittime che, con ostentata nonchalance, si dimentica che sono persone.
Che non sono birilli da abbattere in uno dei frequenti momenti di distrazione, stando a quel che è successo negli anni recenti. E che non è nemmeno corretto definire col termine distrazione, trattandosi di un modus operandi ormai assurto a dignità di maniera di governo riconosciuto e incontestabile.
Persone che – insisto – non sono birilli.
Così come i migranti, ha tenuto a precisare il papa in uno dei suoi più recenti interventi a loro favore, non sono palline da ping pong.
Per concludere con un parallelo preso in prestito dal lessico ludico. E ciò non per sminuire la serietà dell’argomento fin qui tratteggiato e magistralmente, da par suo, fotografato da Totò con la battuta riproposta dalla vignetta scovata nel web.
Maria Michela Petti
09 ottobre 2023