Notti di solitudine e tradimenti
Dalla lunga notte del Getsemani all’alba della Risurrezione: obbligato il passaggio attraverso l’ora in cui “si fece buio su tutta la terra”.
Da quella che fu la notte del turbamento di Cristo nella Sua natura umana, alternato all’abbandono alla volontà del Padre, culminata nel “Tutto è compiuto” per la redenzione dell’umanità, secondo il disegno accettato volontariamente in sintonia con il volere paterno e le Scritture. In piena consapevolezza. Come peraltro ribadito pochi giorni prima della Pasqua, all’ingresso trionfale in Gerusalemme.
«Adesso l’anima mia è turbata; che cosa dirò? Padre, salvami da quest’ora? Ma proprio per questo sono giunto a quest’ora!» (Gv 12, 27)
Prima della morte a Sé stesso-uomo, come il chicco di grano, per produrre frutto. Per condurre alla vita eterna chi non si sarà lasciato attrarre dalle lusinghe di questo mondo.
Sì. Anche il Figlio di Dio, fattosi uomo, si trovò a vivere attimi di turbamento. Uno, il più straziante, nell’Orto degli Ulivi, dove si era recato per pregare, invitando i discepoli a fare altrettanto per sfuggire, nell’ora della prova più dura, alle presumibili tentazioni per la fragilità della carne. (Cfr. il passo evangelico “Al Getsemani”, dalla: Passione e Morte di Gesù, secondo Matteo 26, 36-46)
«Padre mio, se è possibile, passi via da me questo calice!»
La sensazione confessata di una momentanea vulnerabilità che, comunque, non aveva alterato la coscienza di quel patire, evidenziata nella subordinata “se è possibile” e strettamente congiunta all’immediata riaffermazione della completa adesione al piano salvifico da realizzare. «Però non come voglio io, ma come vuoi tu!».
Attimi di smarrimento e debolezza, frequenti e della durata che a volte sembra interminabile, che ogni essere umano sperimenta nelle difficoltà che si trova a dover affrontare.
Attimi in cui, di solito, per un moto spontaneo dell’animo si confida e si cerca se non altro il conforto degli amici, ovvero di coloro che si sono sempre professati e si reputano tali. E che, non di rado, purtroppo, riservano la cocente delusione della mancata prestazione di quel genere di aiuto su cui si era fatto affidamento, accrescendo la sofferenza del momento che aveva spinto nella ricerca in tal senso.
Amarezza che i discepoli non risparmiarono, nella lunga notte del Getsemani, al Maestro che aveva raccomandato loro di vegliare e pregare, data la delicatezza della circostanza. E che, invece, per tre volte – lasciando il luogo appartato della Sua preghiera – tornato dai suoi per sentirli vicini alla tristezza dell’anima, li trovò addormentati «perché i loro occhi si erano fatti pesanti». Nonostante la ripetuta esortazione a pregare e il rammarico confidato a Pietro: «Così, non siete stati capaci di vegliare con me una sola ora?».
L’accorata raccomandazione a “non dormire” fu replicata da Benedetto XVI nell’ Incontro con i parroci e il clero della diocesi di Roma, il 10 marzo 2011, a inizio quaresima di quell’anno.
«Vedete – fece osservare – Pietro dorme, Giuda è sveglio. Questa è una cosa che ci fa pensare: la sonnolenza dei buoni. Papa Pio XI [1857–1939] ha detto: “il problema grande del nostro tempo non sono le forze negative, è la sonnolenza dei buoni”. “Vegliate”: meditiamo questa cosa, e pensiamo che il Signore nell’Orto degli Ulivi per due volte ha detto ai suoi apostoli: “Vegliate!”, ed essi dormono. “Vegliate”, dice a noi; cerchiamo di non dormire in questo tempo, ma di essere realmente pronti per la volontà di Dio e per la presenza della sua Parola, del suo Regno».
Il colpo di grazia allo stato d’animo di solitudine e abbandono, sperimentato da Cristo al Getsemani – seguendo con tutti i limiti il filo delle mie idee – fu dato, immagino, dal “bacio” del traditore, che avviò la fase dei patimenti fisici del nostro Salvatore. Di quel discepolo che continuò a chiamare “amico”, anche nel mentre veniva consegnato da costui agli esecutori dell’arresto, ordinato dai capi dei sacerdoti e degli anziani del popolo, ai quali il principe dei traditori – Giuda – Lo aveva “venduto” per trenta denari.
«Amico, per questo sei qui!» (Mt 26, 50)
La semplice constatazione di una disumanità inaudita, paradossalmente ordinata al riscatto dell’umanità attraverso la morte in Croce di Colui che, lasciando poi vuoto il sepolcro all’alba del terzo giorno successivo, spalancò a noi la porta della vita rinnovata.
In sostanza, per come la interpreto: la presa d’atto di un tradimento; ovviamente, di portata non paragonabile a vicende ingannevoli da noi vissute e ad altre simili conosciute da distanza ravvicinata, che mi induce a vagliare il punto di caduta fra le contrastanti riflessioni su rapporti di amicizia compromessi irrimediabilmente da contingenze improvvide e dolorose.
Sulle quali stendo un velo pietoso per rispetto al mistero pasquale cui è rivolto ogni mio pensiero durante questo triduo, meditando in particolare sulla tristezza che turbò nell’anima il Cristo del Getsemani e sul Suo calvario fino al momento dell’ultimo respiro, quando su tutta la terra calò il buio, che non fu quello consueto di ogni notte.
Per una coincidenza da calendario, questa giornata cade quest’anno nella data che segna per noi il compimento del settimo anno dell’ora in cui, improvvisamente e senza un’origine giustificata e giustificabile, un ben altro buio avvolse le nostre vite, impedendoci di respirare a pieni polmoni. Senza, tuttavia, spegnere la nostra preghiera silenziosa all’Onnipotente:
Che la Santa Croce del Figlio
vivifichi nel Suo amore miracoloso
schiodandola dall’afflizione
la nostra fede osteggiata da miserie umane
debilitanti e mal dissimulate
contro ogni evidenza.
Con l’augurio di Buona Pasqua, particolarmente cordiale, agli amici fraterni.
Maria Michela Petti
28 marzo 2024