La Chiesa che ama non giudica
«È bella e attraente una Chiesa che ama il mondo senza giudicarlo e che per il mondo dona sé stessa».
Lo ha affermato ieri il papa nel corso della celebrazione eucaristica, che ha presieduto nella Basilica di San Pietro, per i 500 anni dell’evangelizzazione delle Filippine.
Ne deduco che: se la Chiesa ama, non giudica, men che meno condanna.
Attenendomi alla formazione ricevuta, che io ricordi: l’Ecclesia Christi è stata istituita per la salvezza delle anime, con il mandato affidato a Simon Pietro: «Pasci le mie pecorelle», che non mi pare configuri nella subordinazione dei fedeli ai pastori riconosciuti una forma di assoggettamento tale da ridurre la persona a “cosa” di cui disporre ad libitum.
Si impone, quindi, a mio avviso, una netta distinzione imprescindibile fra Chiesa e uomini di Chiesa.
Intendendo per “mondo” il consorzio umano, al di sopra di tutto il resto, e nello specifico il popolo di Dio, affidato alla cura amorevole della Chiesa sull’esempio di Cristo, senza essere sottoposto a giudizio tout court, risulta sconcertante il controverso comportamento di ministri della Chiesa – chiamati a servire l’uomo, a conoscere l’uomo per amare Dio – che si riservano il diritto non solo di sottoporre una persona a giudizio temerario, ma addirittura di condannarla senza appello.
Se si evitasse quest’eccesso sarebbe già molto, senza pretendere per tutti ed ogni singolo soggetto il dono di sé che, per i limiti umani, è soltanto un’utopia.
A fronte dell’inflazione galoppante, oggi, del termine “umanesimo” e della giustificazione alle innovazioni che si stanno attuando nella Chiesa, in applicazione – si sottolinea – del Concilio Vaticano II, trovo pertinenti le parole di Paolo VI, in occasione della sua ultima sessione pubblica (7.12.1965).
«Che se, venerati Fratelli e Figli tutti qui presenti, noi ricordiamo come nel volto d’ogni uomo, specialmente se reso trasparente dalle sue lacrime e dai suoi dolori, possiamo e dobbiamo ravvisare il volto di Cristo (cfr. Matth. 25, 40), il Figlio dell’uomo e se nel volto di Cristo possiamo e dobbiamo poi ravvisare il volto del Padre celeste: «chi vede me, disse Gesù, vede anche il Padre» (Io. 14, 9), il nostro umanesimo si fa cristianesimo, e il nostro cristianesimo si fa teocentrico; tanto che possiamo altresì enunciare: per conoscere Dio bisogna conoscere l’uomo».
Maria Michela Petti
15 marzo 2021