In compagnia dell’ultimo (per ora?) dei “misericordiati”: il vescovo di Tyler, mons. Strickland
Per un principe – teorizzò intorno al 1514 Niccolò Machiavelli nel saggio sul principato assoluto – «…la cosa migliore è proprio di essere temuti, ma non odiati». Questo nel Capitolo XVII introdotto dal dubbio antinomico: “Crudeltà e misericordia [parolina magicamente in auge, in questo nostro tempo bugiardo!]: e se è meglio essere amati che temuti o piuttosto temuti che amati”.
Aggiungendo, nel Capitolo successivo, il suggerimento vincente per il mantenimento del possesso agguantato, ovviamente in nome della ragion dello Stato: «… e nelle azioni di tutti li uomini, e massime de’ principi, dove non è iudizio da reclamare, si guarda al fine. Facci dunque uno principe di vincere e mantenere lo stato: e mezzi saranno sempre iudicati onorevoli e da ciascuno lodati». (“Il Principe”, Cap. XVIII)
Tradotto, col linguaggio e per la tattica popolari, nel detto: “il fine giustifica i mezzi”.
Sempre secondo Machiavelli: «… tutte le cose del mondo in ogni tempo hanno il proprio riscontro con gli antichi tempi». (Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio, III, cap. XLIII)
Esattamente nelle sue citazioni, di un tempo realmente “antico”, ha trovato un appiglio la mia mente (nel perenne turbinio di pensieri contrastanti e pesanti, per cause esterne e non di poco conto) nell’apprendere – l’11 novembre scorso – della rimozione (non una “novità” sotto il pontificato in corso…) dal suo incarico di governo della diocesi di Tyler, nel Texas, di mons, Joseph E. Strickland, comunicata dalla Sala Stampa vaticana con uno scarno Bollettino senza fornirne le motivazioni. Ed anche questo: un déjà-vu.
Tale epilogo era nell’aria, fin da prima dell’inizio della visita apostolica – disposta nel giugno scorso – nonostante non fossero emerse criticità di alcun genere, segnatamente sul piano finanziario e nel numero degli aspiranti al sacerdozio, e men che meno per ragioni riconducibili alla grave questione degli abusi sessuali, di attualità nella Chiesa. Tanto che il vescovo, interrogato nei mesi scorsi sull’eventualità di una richiesta di dimissioni, aveva escluso la sua disponibilità ad “abbandonare” la cura dei fedeli a lui affidati con la nomina da parte di Benedetto XVI e la consacrazione episcopale, lasciando al papa la responsabilità di un suo ipotizzabile sollevamento dalla guida della diocesi retta per undici anni.
Rimozione divenuta esecutiva due giorni dopo il rifiuto di mons. Strickland della proposta “di dimettersi dall’incarico” – confermando l’intenzione anticipata pubblicamente – pervenutagli il 9 novembre scorso, come da Nota diffusa dal cardinale Daniel Nicholas DiNardo, arcivescovo metropolita di Galveston-Houston.
Escluso anche dall’Assemblea annuale (13-16 novembre u.s.) dei vescovi statunitensi, il vescovo ora emerito di Tyler ha guidato a Baltimora – davanti alla sede dov’era in corso la loro riunione – la preghiera programmata dai suoi sostenitori, ai quali aveva vivamente raccomandato che non assumesse un’impostazione diversa dall’intercessione dell’“unico sostegno” di cui ha bisogno “in questo momento triste” per lui.
Come aveva confidato in un’intervista rilasciata al sito LifeSeiteNews nelle ore immediatamente successive alla notifica del provvedimento adottato nei suoi confronti.
Tralasciando le analisi condotte da giornalisti di opposte tendenze nella valutazione degli atti di governo del papa regnante, mi soffermo sulla “lezione” di coerenza, trasparenza e coraggio, ricevuta da questo presule, alla cui statura guardo dal profondo della mia pochezza.
E invio, idealmente, il mio più sentito “grazie!” a quei membri del clero internazionale, qualificati e rispettabili, che – significativamente, senza l’ombrello dell’anonimato – con le loro prese di posizione (di cui ho letto) su quest’ennesimo “caso” hanno inconsapevolmente dato voce a quei pensieri in merito che ho rinchiuso nella mia mente, per l’abitudine a soffocare reazioni emotive quantunque causi un aggravio di pena.
L’incrocio di questa vicenda con quella di cui, in famiglia, portiamo le ferite sulla nostra pelle – per la “cacciata”, seduta stante, dal posto di lavoro di Eugenio Hasler, a fine marzo 2017 (!!!), decisa dal papa senza rendere note le motivazioni, senza fornire prove di “accuse” precise e senza lasciare possibilità di difendersi – ci accomuna in un male che, per ciò stesso, non è per noi “un mezzo gaudio”.
Anzi: il girovagare continuo, da quel dì, in una specie di limbo dove incontriamo ora l’uno ora l’altro destinatario del medesimo effetto di un modus operandi dal registro doppio, divenuto ordinario, ci fa ripetutamente cadere “come corpo morto cade” (Inferno, Canto V, 142), affievolendo quel persistente – nonostante tutto e tutti – barlume di speranza di uscire “a rivedere le stelle” (ibid. Canto XXXIV, 139), di cui invece poté gioire Dante.
Per una scelta di opportunità, come accennato, stralcio i passaggi per me più significativi della citata intervista (tradotta da: Messainlatino.it) di mons. Strickland che, interrogato sui motivi alla base della decisione adottata nei suoi confronti, ha affermato «L’unica risposta che ho è perché le forze nella Chiesa, in questo momento, non vogliono la verità del Vangelo». Molte forze che, a suo dire, lavorerebbero sul papa «e lo influenzano a prendere questo tipo di decisioni», puntualizzando: «se volete che la verità del Vangelo cambi, allora io sono un problema».
«Ci sono persone nella Chiesa – ha aggiunto – che, invece di gloriarsi della verità di Cristo, vogliono cancellare porzioni significative delle Sacre Scritture… E troppi di coloro che occupano posti di rilievo nella Chiesa, per lo meno si comportano come se non conoscessero davvero il Signore. Non conoscono veramente Sua Madre».
Da qui l’esortazione ad assumerci «l’opera caritatevole di pregare per i confusi, di pregare per coloro che hanno voltato le spalle alle realtà, alle realtà impegnative della nostra fede». E, in linea con mons. Schneider O.R.C., a «pregare più profondamente che mai per papa Francesco, per la gerarchia vaticana. Tutti loro, tutti coloro che hanno la tremenda responsabilità di guidare la Chiesa» in quest’”epoca di domande e confusioni sulla fede”, di turbamenti e di abbandoni.
Di fronte all’incertezza sul futuro e alle domande che tutti ci poniamo, mons. Strickland ha incoraggiato a rafforzarci nella fiducia nel Signore: «siamo nelle mani di Dio. La chiesa è Sua. Siamo guidati attraverso le tenebre nella sua luce».
Maria Michela Petti
19 novembre 2023