Dal punto di vista…papale
Il papa ha dichiarato di aver accettato «non sull’altare della verità ma sull’altare dell’ipocrisia» le dimissioni presentate dall’arcivescovo di Parigi, mons. Aueptit, ammettendo di ignorare la gravità delle accuse mossegli. Perché – ha precisato – «quando il chiacchiericcio cresce, cresce, cresce e ti toglie la fama di una persona, no, non potrà governare perché ha perso la fama non per il suo peccato, che è peccato – come quello di Pietro, come il mio come il tuo – ma per il chiacchiericcio delle persone».
Tale dichiarazione surrettizia che apre un mondo di interrogativi e richieste, già più volte avanzati e mai soddisfatti, è calata – oggi 6 dicembre – dalle… nuvole. Sì, stricto sensu.
Precisamente: nel consueto dialogo con i giornalisti, durante il volo di ritorno dal viaggio a Cipro e in Grecia, in risposta alla domanda rivoltagli dalla corrispondente per “Le Monde” circa la “fretta” della sua decisione, resa nota proprio all’inizio della “due-giorni” nell’isola del Mediterraneo.
Prima della succitata motivazione, che mi suona alquanto stiracchiata e sbrigativa, da par suo – frettolosa, per restare alla parola pronunciata dalla giornalista – il papa ha tenuto una lezioncina su “peccati” più e meno gravi, secondo il suo metro di giudizio, e sui “peccatori”, muovendo da un suo dubbio rimasto sospeso al punto interrogativo con il quale lo ha introdotto.
«Cosa ha fatto lui di così grave – si è chiesto – da dover dare le dimissioni? Qualcuno mi risponda, che cosa ha fatto?»
«Non lo sappiamo… problema di governo o altra cosa» è stata la laconica ammissione, tentando poi un’arzigogolata spiegazione della non-risposta nel merito del quesito posto.
«E se non conosciamo l’accusa – ha detto – non possiamo condannare… Prima di rispondere io dirò: fate le indagini eh, perché c’è pericolo di dire: è stato condannato. Chi lo ha condannato? L’opinione pubblica, il chiacchiericcio… non sappiamo… se voi sapete perché ditelo, al contrario non posso rispondere».
Ma: davvero il papa crede che l’accettazione da parte sua, per di più con “tanta fretta”, delle dimissioni sia una prova di impossibilità di rispondere? E che sia compito dei giornalisti – e non un suo preciso dovere – fare delle indagini accurate su “casi” controversi e spinosi? Addebitando, poi, all’opinione pubblica la responsabilità di ogni “condanna”, emessa non si sa a nome e per conto di chi, senza un’indagine previa da parte di chi finisce col ratificarla sulla base del tanto deprecato “chiacchiericcio”?
Inoltre: si può escludere che l’opinione pubblica, accusata in conclusione di aver svolto l’improprio ruolo di giudice di ultima, se non unica, e decisiva istanza, non sia stata indotta a farlo o, nel migliore nei casi, le sia stata lasciata facoltà di farlo, per opportunismo e/o per incomprensibili, quanto meschini, intrighi?
Opinione pubblica, spesso e volentieri condizionata da oscuri manipolatori emotivi, che si trasforma in paravento di malefatte da insabbiare e, nello stesso tempo, strumento per il raggiungimento di obiettivi prefissati; primo fra tutti quello di far perdere “la fama di una persona”, e «non per il suo peccato», stroncandone l’esistenza stessa. Nell’imperdonabile dimenticanza personale e collettiva che la dignità di ogni essere umano è sacra e dovrebbe essere inviolabile, stando anche ai ripetuti richiami in tal senso, che – al dunque – si rivelano pura e semplice retorica.
Maria Michela Petti
06 dicembre 2021