Alla ricerca di una risposta a quel “perché?”: San Francesco contro i detrattori

4 April 2020 1 By EH(?)

(Riceviamo e volentieri pubblichiamo)

Perché tutto questo?

Parto dalla domanda alla voce “Casellario Giudiziale” che apre una pagina su cui campeggia a caratteri cubitali la parola “NULLA”.

Un’ impresa cercare una risposta ad un quid senza consistenza, se non fosse che quel “perché?” rimanda alle offese alla dignità di una persona, alla violazione dei suoi più elementari e irrinunciabili diritti. E: quand’anche quella domanda restasse senza una plausibile risposta alle legittime aspettative e speranze, vale la pena insistere nel chiederne, anzi nel pretendere, una risposta soddisfacente.

Anche se la domanda è vecchia quanto l’uomo e ne accompagna la storia dalle origini, restando il più delle volte – troppe – legata al mistero del dolore, del male e delle sue conseguenze, alla limitatezza della mente e della natura umana, agli insondabili recessi del cuore, vale la pena tentare di scoprirne, o riscoprirne, una spiegazione pur se approssimativa e insoddisfacente.

E, allora, riandando a ritroso col pensiero, si risale al movente della bramosia dei nostri progenitori, Adamo ed Eva, che ne determinò la cacciata dall’Eden e l’inizio di una vita senza quei privilegi ricevuti gratuitamente e non accettati con la debita e assoluta riconoscenza.

E, subito dopo, ecco il loro primogenito Caino, primo nato da uomo e primo assassino per invidia.

La storia umana è, dunque, legata a doppio filo all’incapacità della creatura di riconoscersi e accettarsi nei propri limiti e di riuscire a frenare quegli impulsi irrazionali, che spingono a comportamenti dannosi non solo per gli altri, ma anche e prima di tutto per sé stessi, determinando quel “male”, causa di tanta sofferenza che resterebbe altrettanto dannosa e vana, senza l’intervento di Dio che trasforma “il male dei peccatori nel bene dei giusti” (Rm 8,28).

Per non lasciarmi fuorviare da messaggi contraddittori o equivoci, ho l’abitudine di cercare nelle fonti di verità il chiarimento ai miei dubbi.

Eugenio, il tuo nome che per il Fonte battesimale è: Francesco, mi ha spinto a rintracciare nel Santo di Assisi una risposta al “perché?” che opprime te e noi, da tre anni a questa parte.

Riprendo ampi stralci da: “La vita Seconda di San Francesco” di Tommaso da Celano, che al Cap. CXXXVIII lo descrive proprio contro i detrattori, con parole di un’eloquenza pesante e disarmante tale da risultare il miglior antidoto al rischio di tenere fisso il pensiero su coloro che il Poverello definisce «fiele degli uomini, fermento di malvagità, disonore del mondo». Certo: restano i danni causati dal “puzzo disgustoso” «se non si chiudono le bocche di questi fetidi» e, perciò, Francesco raccomanda a tutti i suoi “la massima diligenza” perché «non si diffonda maggiormente questo morbo pestifero».

«Ahimè – lamentava San Francesco – la terra abbonda di animali velenosi ed è impossibile che una persona onesta sfugga i morsi degli invidiosi! Si promettono premi ai delatori e, distrutta l’innocenza, si dà a volte la palma alla falsità. Ecco, quando uno non riesce a vivere della sua onestà, guadagna vitto e vesti devastando l’onestà altrui.

«Il detrattore dice così: so cosa fare, getterò fango su gli eletti e mi acquisterò il favore dei grandi…Sanno soltanto adulare – è l’impietosa analisi del Santo di Assisi – quelli, dalla cui autorità desiderano di essere protetti, e diventano muti quando pensano che le lodi non raggiungano l’interessato. Vendono a prezzo di lodi funesti e il pallore della loro faccia emaciata, per sembrare spirituali in modo da giudicare tutto e non essere giudicati da nessuno. Godono della fama di essere santi, senza averne le opere, del nome di angeli ma non ne hanno la virtù».

Considerazioni inconfutabili, queste, di chi ha predicato più con l’esempio che con le parole il Vangelo che esortava a vivere sine glossa, tanto da essere riconosciuto “alter Christus”.

Parole che dovrebbero spingere ad un’energica operazione per estirpare il “morbo pestifero” della maldicenza, piuttosto che limitarsi alla sommaria condanna del “chiacchiericcio.”

Maria Michela Petti