Abusi e schiaffi alle vittime nella Chiesa: storie di ordinaria ipocrisia
Vittima del “chiacchiericcio” era finito nel vortice della gogna mediatica, nemmeno arginata dalle dimissioni prontamente accettate dal papa verso la fine del 2021. Sacrificato “sull’altare dell’ipocrisia”, ammise il regnante a conclusione di un’azzecca garbugliata descrizione dell’affaire, nel corso della consueta conferenza-stampa sul volo di ritorno dal viaggio a Cipro e in Grecia (il 6 dicembre di quell’anno). Per l’ex arcivescovo di Parigi Michel Aupetit, il 23 agosto scorso, è arrivata dalla Procura parigina la sentenza di archiviazione del caso – esaminato a seguito di una segnalazione da parte della diocesi – per l’insussistenza della presunta violenza sessuale ai danni di una donna in stato di disabilità, che peraltro non aveva presentato alcuna denuncia contro di lui.
La verità è figlia del tempo e ha il passo lento. Arriva sempre, però, il momento in cui si impone sulla menzogna e su ogni azione escogitata per fini perversi.
Anche la notizia della riconosciuta innocenza del presule si è diffusa con circa un mese di ritardo: venerdì della passata settimana, il 15 settembre.
Per ironia della sorte nello stesso giorno in cui il papa riceveva, in udienza privata – segnalata nella scarna lista del Bollettino quotidiano diramato dalla Sala Stampa vaticana e suffragata da una foto, priva di argomentazione, fatta circolare a distanza di qualche ora – la signora Maria Campatelli del Centro Aletti.
Centro fondato e diretto dal mosaicista ex gesuita sloveno Marko Ivan Rupnik, espulso dalla Compagnia, con decreto attuativo del 14 giugno dell’anno in corso, a seguito di una vicenda di gravi abusi, provati, su un numero impressionante di consacrate.
Vicenda tenuta ben nascosta (dal 2018, cui risalgono le prime denunce formali, fino all’esplosione dello scandalo fra il dicembre scorso e i primi di gennaio 2023), in alto loco, dove l’abusatore seriale – difeso, strenuamente e a viso aperto, dalla Campatelli – ha trovato, per decenni, autorevole protezione e copertura delle sue malefatte, comprensive della cancellazione (nel giro di una quindicina di giorni) della scomunica latae sententiae del maggio 2020, comminatagli dalla Congregazione (ora Dicastero) per la Dottrina della Fede.
Il tutto è ancora oggi avvolto dalla segretezza più assoluta, per nulla scalfita dalle, sia pure molto timide, richieste di chiarimenti avanzate attraverso i mass media.
Con buona pace della sbandierata “trasparenza” e della “tolleranza zero” in fatti di abusi sessuali, miseramente rivelatesi per quel che sono rimaste, a dispetto dell’enfasi di parole prive di concretezza: slogan acchiappa like, pura propaganda, non disgiunti da una pelosa partecipazione, verbale e con effetti scenici, al dolore delle vittime. In realtà schiaffeggiate nel loro completo abbandono e nell’indifferenza sfrontata alla loro esigenza legittima di giustizia.
E tutto ciò relativamente alla gestione non del solo “caso Rupnik”, ma di tanti altri simili, come riepilogato da vari reports giornalistici degli ultimi giorni.
Promesse solenni fissate fra le priorità dell’ambizioso programma di governo del regnante, che aveva come obiettivo l’operazione-pulizia nella Chiesa dalla “sporcizia “denunciata senza iperbole durante la Via Crucis al Colosseo del 2005 da Benedetto XVI, cui è stato riconosciuto il merito innegabile di aver avviato quell’ardua impresa, senza il cancan cui siamo stati abituati nell’ultimo decennio, e purtroppo! con zero riscontri positivi.
Nel mentre, con frequenza quasi quotidiana e attraverso ogni mezzo di comunicazione oggi disponibile, siamo aggiornati sul moltiplicarsi di processi per abusi sessuali, in cui sono chiamati a risponderne membri del clero regolare e secolare. Processi che si svolgono nelle aule dei tribunali civili di più di mezzo mondo e in parallelo, con un clamore spropositato, nelle sezioni improprie e in numero crescente del pianeta mediatico.
Fenomeno, questo, che ha registrato una brusca impennata sotto il papa regnante, con conseguenze non di lieve entità, con cui si trovano a dover fare i conti soprattutto alcuni vescovi e cardinali, caduti nella rete della giustizia ordinaria, in mancanza di operazioni – motivate e trasparenti – di verità e giustizia nell’ambito di stretta competenza ecclesiale. Nel quale si avviano, invece, a ritmo incalzante, attività di commissioni ad hoc e visite apostoliche, sulle quali si lasciano scorrere fiumi di indiscrezioni, supposizioni e ipotetiche conclusioni, senza che alla fine si renda pubblico un resoconto che non lasci adito a dubbi di sorta.
A tal proposito, nei giorni scorsi sono state veicolate tramite i mass media congetture sul futuro di mons. Joseph Strickland, vescovo della diocesi texana di Tyler, a quel che si sa con i conti in regola e con vocazioni sacerdotali soddisfacenti. Eppure, egli è stato sottoposto a visita apostolica, a scopo non precisato. Si suppone per il suo essere non “allineato” alla linea prevalente oggi nella Chiesa, che egli non manca di stigmatizzare in fedeltà al Depositum Fidei e in termini ispirati dal dettato evangelico del “sì, sì; no, no”.
Per lui pare profilarsi, per questo motivo e non per altro, l’induzione alle dimissioni, replicando il finale dell’esperienza di mons. Aupetit. Dimissioni che il presule texano ha già dichiarato che non rassegnerà volontariamente, lasciando al papa la responsabilità di revocargli il mandato-onere ricevuto da Benedetto XVI, in qualità di successore degli Apostoli.
Ma questo è un altro discorso che, tuttavia, evidenzia la deriva dell’esposizione di membri della gerarchia ecclesiastica al rischio di essere allontanati dall’esercizio del proprio ministero, come per coloro sottoposti a processi nelle sedi istituzionali civili che, per quel che se ne viene a sapere, non di rado si concludono con l’archiviazione del caso e la dichiarazione di innocenza dell’indiziato di turno, come nel caso dell’ex arcivescovo di Parigi.
Dopo essere stati, oltre che infangati nel disorientamento crescente del popolo di Dio, privati anche dell’autorità conferita loro con la consacrazione vescovile, a causa dell’applicazione di un doppio metro di giudizio… nei confronti dei rientranti nel gruppo dei considerati “nemici” e, dall’altro lato, di quelli del cerchio di “amici” e degli “amici degli amici”…
È quanto si verifica con sfacciata indecenza, in questo tempo bugiardo, in ogni settore della comunità ecclesiale e della Curia romana, sotto un potere marcatamente illimitato, come nel “caso Rupnik” – forse il più grave ed emblematico – che ha ispirato un accorato appello pubblicato ieri (16 settembre 2023) dal sito paravaticano “Il Sismografo”.
«Non si tratta – vi si legge – solo di far giustizia alle vittime di Rupnik. Ora, a questo punto, si tratta anche del futuro della Chiesa. Si tratta di aiutare questa Chiesa a sopravvivere pulita e limpida a tante corruzioni che la macchiano».
Con la bocciatura, senza mezzi termini, della foto che ritrae Bergoglio a colloquio con la signora Campatelli, «uno schiaffo morale – perché si è voluto far sapere e far vedere questo incontro – a molte vittime». Quelle che si sarebbe preferito vedere al suo posto o, anche con lei: le «numerose donne consacrate abusate da padre Rupnik ripetutamente e, in alcuni casi, con modalità ripugnanti».
Quanto al silenzio in merito alla cancellazione della scomunica, l’articolo chiama in causa la responsabilità dei giornalisti «che sono stati vicini a lui in diverse circostanze, non hanno mai riferito commenti del Santo Padre sulla delicatissima questione. Silenzio tombale», concludendo con un dilemma pertinente.
«Le cose sono solo due: o hanno scelto di non fare domande scomode a Papa Bergoglio (e questo pone molti interrogativi sulla stampa) oppure è stato vietato ai giornalisti porre questo tema al Pontefice (e ciò interroga sul rapporto della Chiesa con la verità)».
Interrogativi che quasi certamente resteranno senza una risposta chiarificatrice, come le tante domande avanzate da più soggetti nel corso di questo pontificato, durante il quale non pochi sono stati e, presumibilmente, continueranno ad essere gli schiaffi alla sofferenza delle vittime a vario titolo del decisionismo di Bergoglio, dei privilegi accordati a suo piacimento, dei favoritismi e della moltiplicazione di posti di lavoro assegnati a chi di suo gradimento, senza far mancare sua sponte benefici vari e premi di consolazione a chi gli pare e piace.
Di certo non mi mancherà l’occasione di riprendere questo tema, avendo in serbo notizie in tal senso, di cui è stata prodiga, tra l’altro, la stagione estiva che si va esaurendo, durante la quale non ci è stata risparmiata l’ossessiva intemerata sul “chiacchiericcio”, all’origine del “caso Aupetit”, cui avevo dedicato il Post al link di seguito, con i miei interrogativi su dubbi e perplessità ben noti.
Quanto al “parlar male, riporto qui l’ eloquente citazione stralciata da un articolo di don Giuseppe Tomaselli, sul sacramento della confessione e sull’esame di coscienza alla luce dei 10 comandamenti: «Chi parla male ha il demonio nella bocca; e chi ascolta volentieri ha il demonio nelle orecchie». (scrutatio.it)
Maria Michela Petti
17 settembre 2023